lunedì 18 maggio 2009

L’Ocse, i salari italiani 
e la decrescita (di cui nessuno si è accorto)




Come al solito destra e sinistra faranno finta di cadere dalle nuvole. Anche se per quel che riguarda l’Italia i dati contenuti nel Rapporto 2008 dell'Ocse sulla tassazione dei salari non dicono cose del tutto nuove ( http://www.ansa.it/opencms/export/site/visualizza_fdg.html_962688533.html - http://www.oecd.org/home/0,2987,en_2649_201185_1_1_1_1_1,00.html ). E' una novità che la busta paga degli italiani sia tra le più leggere all’interno dei paesi industrializzati? Non crediamo proprio.
Sulle trenta nazioni che fanno parte dell'organizzazione internazionale, l'Italia, con un salario medio annuo netto di 21.374 dollari, si colloca al ventitreesimo posto, esattamente come l’anno passato. Restando dietro a Gran Bretagna, Giappone, Stati Uniti, Germania, Francia. E davanti a Portogallo e agli ex paesi comunisti, da poco entrati nell’Ue.
Il salario medio di un italiano non giunge a 16.000 euro l'anno, qualcosa più di 1.300 euro al mese. Il che significa che nel 2008 gli italiani hanno, grosso modo, intascato il 17% in meno della media Ocse. I salari restano bassi anche se confrontati con la media Ue a 15 (27.793 euro ) e con la Ue a 19 (24.552 euro).
I dati riguardano il salario netto medio di un lavoratore single senza carichi di famiglia. Inoltre viene espresso in dollari e in termini di parità di potere d'acquisto, inclusa dunque dinamica dei prezzi interna a ciascun Paese.
Che fare? Difficile dire. Non ci sono ricette miracolose. Come al solito la destra sosterrà che i bassi salari sono frutto di un mercato del lavoro ingessato, mentre la sinistra chiederà di sostenere il potere d’acquisto. E così si ritornerà a parlare della riduzione del cosiddetto cuneo fiscale, dividendosi però, come al solito, sulle diverse spettanze a datori di lavoro e dipendenti, in termini di risparmi fiscali. Acqua fresca, se ci passa l’espressione.
Il punto è che la dinamica salariale, piaccia o meno, non può non essere legata alla produttività del lavoro, che per quello che riguarda l’Italia resta - e da anni - molto bassa. Produttività che, a sua volta, è legata a quella più generale del "Sistema Economico Italia" (cui devono contribuire tutti: da Marchionne in giù, e non solo i lavoratori dipendenti) , espressa - certo, rozzamente - in valori Pil. Valori che rischiano di diminuire ulteriormente, o comunque di rimanere stazionari, se la crisi economica dovesse perdurare per tutto il 2009, cosa del resto molto probabile.
Semplificando: l'Italia non è un'isola. Il che significa che la produttività nazionale è legata a quella internazionale... Pertanto gli spazi interni di manovra economica sono limitati. E non è neppure sicuro che produrre di più nell'ambito di un sistema mondiale in recessione, possa dare immediato sollievo all'economia. Fermo restando il punto che la base salariale italiana è già bassa.
Insomma, seppure non ci troviamo in un vicolo cieco, poco ci manca...
In conclusione, piaccia o meno, ma l'unico dato sicuro, almeno per ora, è che ogni punto di Pil in meno, significa meno soldi nelle tasche degli italiani. Soprattutto in quelle di coloro che già ne hanno pochi.
In certo senso la decrescita, da alcuni auspicata, in Italia è già iniziata... 

Carlo Gambescia

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