mercoledì 9 gennaio 2008

Primarie americane
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Non riusciamo a prendere sul serio le primarie americane. La qualità politica di tutti i candidati è desolante. Certo, con alcune eccezioni che purtroppo non fanno testo. Ma non è di queste ultime che vogliamo qui parlare.
La nostra l’impressione è che nonostante la grande retorica mediatica intorno al "cambiamento", il prossimo presidente americano, anche se democratico, proseguirà lungo le linee tracciate dai suoi predecessori repubblicani.
Non siamo “americanisti” di professione, ma non ci vuole molto per capire che la potente macchina rappresentata dagli interessi del “complesso militare-industriale” o se si preferisce "militare-economico", difficilmente verrà contrastata da un presidente che dipende finanziariamente da essa. Perciò la nostra è un'analisi in termini di forze sociali ed economiche. Che impiega un termine di derivazione politica come quello di "complesso militare-industriale" (http://it.wikipedia.org/wiki/Complesso_militare-industriale ), poi ripreso dai sociologi radicali americani e anche da studiosi di primo piano come Pitirim A. Sorokin.
In questo senso per quello che riguarda la storia del Novecento, se escludiamo le presidenze “antistrustiste” di Theodore Roosevelt (1901-1909) e Franklin Delano Roosevelt (1933-1945), tutti gli altri presidenti (17 contro 2 - http://cronologia.leonardo.it/mondo19a.htm ), non hanno mai mosso un dito contro il capitalismo oligopolistico americano. La tendenza di fondo è stata sempre ( o quasi) a favore di questo tipo di capitalismo e mai contro. Del resto anche i due Roosevelt, nonostante fossero contro il “complesso industriale”, ne favorirono in chiave espansionistica le componenti legate al sogno di grandeur "imperialdemocratica" delle istituzioni militari, come poi vedremo.
Pertanto non è assolutamente il caso di farsi illusioni sul democratico Obama o per contro su qualche spento candidato repubblicano. Negli Stati Uniti, se ci si passa l’espressione brutale, contano i soldi, chi li possiede e chi permette di moltiplicarli. Tutto il resto è retorica mediatica. E quel che è più grave è che in Europa non si sia ancora capito questo: a sinistra tuttora alcuni credono nel “miracolo” Obama. Mentre a destra si confida nel polveroso fascino Law & Order di Giuliani.
Il futuro presidente, di qualunque tendenza sia, conterà meno di zero.
Fino a quando il complesso militare-industriale non deciderà di cambiare quella politica deliberatamente espansionistica, iniziata nel 1917, proseguita nel 1941, e decisamente consolidatasi, come mai prima, all’indomani del crollo sovietico, sarà difficile giungere a un radicale cambiamento “politico” tra una presidenza e l’altra. La natura del sistema è neo-imperiale e si basa sulla continua quanto necessaria espansione economica. Che avviene grazie all’esportazione armata dell’idea di democrazia universale: il neo-impero americano, a differenza di altri imperi storici di derivazione sacrale, ha natura profana, nominalmente democratica ma concretamente capitalistica e ovviamente militare, come tutti gli imperi. Tuttavia si tratta, dal punto di vista descrittivo, del primo impero compiutamente “capitalistico-democratico” della storia umana. Sotto questo profilo resta un unicum, pur restando all'interno di una tipologia di tipo imperiale. E questo fatto spiega perché alcuni studiosi, in particolare quelli legati a un’idea sacrale di impero, non lo ritengano tale.
Comunque sia, la sua classe dirigente militare, economica e politica si ritiene depositaria di un ruolo imperiale e soprattutto condivide l’idea che gli Stati Uniti siano una specie di “Impero del Bene”, apportatore di un diritto universale alla felicità. Un fattore morale e politico che unito alla capacità espansiva del capitalismo americano e alla crescente potenza bellica americana, conferisce a questo particolare sistema imperiale una forza complessiva straordinaria.
Su questi punti basta scorrere la letteratura neocons ed economica, in particolare quella di scuola statunitense sulla globalizzazione. Nonché, per chi ne abbia voglia, sarà sufficiente verificare su una carta geopolitica del mondo, evidenziandole in rosso, le aree progressivamente controllate (direttamente e indirettamente) dagli Stati Uniti, prendendo alcuni punti temporali di riferimento: 1918, 1945, 1989-1991, e ovviamente 2008…
In linea ipotetica, e visto che nella storia spesso miseria e nobilità si mescolano insieme, l’ unico fattore capace di turbare la marcia neo-imperiale americana e provocare un mutamento dei rapporti di forza interni tra il complesso militare-industriale e politico, potrebbe essere quello dell’ improvviso esaurimento di alcune materie prime, in particolare del petrolio mondiale.
Ma non è escluso che gli Stati Uniti, probabilmente da tempo consapevoli di questo pericolo, si stiano già attrezzando economicamente e militarmente, per attenuarne gli effetti. Anzi crediamo che le guerre (anche) per il petrolio degli ultimi venti anni, siano addirittura legate all’attuazione di un disegno preventivo in questo senso, prepotentemente imposto a politici, quasi sempre ricattabili, dai vertici economici e militari.
Si può perciò ritenere che attualmente le componenti economiche e industriali puntino decisamente sul controllo delle materie prime, mentre quelle militari sulla pax armata, “democratica e a fin di bene”. Di qui il procedere di pari passo del "fattore" economico con quello militare. E tecnicamente, una volta conseguita la completa e perfetta fusione degli interessi, gli Stati Uniti del Denaro e dei Cannoni potrebbero anche permettersi di fare a meno di un presidente a Washington. Basterebbe un direttorio misto di notabili economici e capi militari.

Carlo Gambescia 

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