mercoledì 2 gennaio 2008

Il libro della settimana: Franco Cardini, Cesare Catà, Claudio Finzi, Domenico Losurdo, Marina Montesano, Costanzo Preve, Neocons. L’ideologia neoconservatrice e le sfide della storia, Il Cerchio Inziative Editoriali, Rimini 2007, pp. 128, euro 13,00.


http://www.ilcerchio.it/neocons-l-ideologia-neoconservatrice-e-le-sfide-della-storia.html


Ci piace aprire il 2008 recensendo un testo interessante che pone un problema fondamentale, la cui soluzione va però ben oltre l’anno appena iniziato: quello del rapporto tra Europa e Stati Uniti. A scanso di equivoci va anche subito osservato che il contenuto del libro riflette solo in minima parte il titolo: Neoncons. L’ideologia neoconservatrice e le sfide della storia (Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2007, pp. 128, euro 13,00 - http://www.ilcerchio.it/ -). Il che però non significa, ripetiamo, che il volume non sia interessante. E spieghiamo perché.
Intanto perché il testo raccoglie gli interventi di un gruppo di effervescenti e validi studiosi dalla formazione differente: Franco Cardini, Cesare Catà, Claudio Finzi, Domenico Losurdo, Marina Montesano, Costanzo Preve. Chiamati a dibattere dal compianto Antonio Santori, proprio in ragione di una diversità che “sana”, in quel di Servigliano (Ascoli Piceno) nell’agosto del 2006. Anche grazie, come ricorda Adolfo Morganti nella nota di presentazione, all’ “attiva coperazione” dell’Associazione culturale Identità Europea.
Sempre a proposito dei convegnisti, Morganti parla addirittura di “eterogeneità”. Aggiungendo però, e a ragione, il loro comune bisogno “di non cedere le armi della critica e della comprensione storica di fronte alle esemplificazioni arbitrarie ed alle leggi molto più assordanti della pressione massmediale. Il che non è poco, soprattutto nello sfigurato e servile panorama intellettuale di oggi.
In buona sostanza, il dato che accomuna tutti gli interventi (escluso quello, comunque dotto e ben articolato, di Cesare Catà, dall’ impianto russellkirkiano), è di favorire il ripensamento europeo, per ora intellettuale, dell’alleanza con gli Stati Uniti. Soprattutto se perseguita, come oggi avviene, nei termini, spesso scandalosi, di un Occidentalismo pavloviano a guida Statunitense. Un ripensamento, crediamo, che non può non preludere, anche se non a breve, al riposizionamento strategico europeo.
Il lato incoraggiante del libro, almeno per chi scrive, è nel fatto che alcuni autori giungono alle stesse conclusioni critiche, respingendo un concetto di Occidente, ad uso consumo esclusivo dell’espansionismo neo-imperiale Usa. Il che avviene - ecco il punto significativo - pur partendo da posizioni diverse, se non totalmente opposte: Losurdo (Lenin), Preve ( Marx e Trotzkij), Cardini (Jünger e Schmitt). Ma meritano di esssere ricordati, per ricchezza analitica e prospettica, anche i saggi di Marina Montesano e Claudio Finzi.
Il testo della Montesano (Il paradigma del musulmano come terrorista. Dall’11 settembre agli attentati di Londra) è segnato da una attenta analisi del rapporto tra religione e politica negli Usa. In particolare l’autrice delimita e analizza l'influenza predominante dei gruppi fondamentalisti protestanti. Fin dall’inizio pronti, forse "troppo" e dunque in modo sospetto, a costruire il paradigma del “Terrorista Musulmano”, funzionale alla politica militare e neo-imperiale di un Bush figlio in veste neocons. E chissà, ci permettiamo di aggiungere e sospettare, probabilmente anche di chi verrà dopo di lui…
L’intervento di Finzi (Europa e Occidente: ma sono la stessa cosa?) ricostruisce magistralmente le radici storiche e filosofiche della ricorrente durezza statunitense verso un’Europa, spesso vista come una viziosa matrigna. Finzi riconduce le origini di questa visione alle matrici puritane dei Padri Fondatori, in fuga da un'Europa cattolica, da essi ritenuta corrotta, sulla scia dei grandi fustigatori di una Madre Chiesa, considerata non più Santa, come Lutero e Calvino. Idee poi trasmigrate, pur con sfumature diverse, in statisti come Jefferson, Washington e Monroe. Nonché più avanti, e in termini salvifici e militari, in una politica estera post-1945, all’insegna più del bastone che della carota. Verso un'Europa che doveva essere salvata a tutti i costi dal comunismo. Così come oggi deve essere salvata dal terrorismo fondamentalista... Almeno come ritengono alcuni circoli politici e intellettuali Usa e addirittura europei.

A rigore, solo due saggi sono effettivamente dedicati ai necons. E sono opera, rispettivamente di Costanzo Preve (Un trotzkismo capitalistico? Ipotesi sociologico-religiosa dei neocons americani e dei loro seguaci europei ) e di Cesare Catà (Da radici inabbandonabili. Leo Strauss e la rivoluzione conservatrice).
Preve ricostruisce, con quella agilità di pensiero che gli è propria, le origini trotzkiste dei neoconservatori americani (o comunque di molti di essi). Singolari figure intellettuali, quasi delle mostruose chimere politiche, che come David Horowitz, sarebbero passati armi e bagagli (ideologici) dalla guerra di classe, come prolungamento della rivoluzione comunista mondiale permanente, alla guerra come propaggine armata della rivoluzione liberale permanente. Con i dirompenti effetti bellici, ora sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo. E da Preve duramente condannati. E per scoprirlo basta seguire la sua produzione recente (si veda ad esempio L’ideocrazia imperiale americana, Edizioni Settimo Sigillo, Roma 2004 - http://www.libreriaeuropa.it/ )
Invece Catà, che sembra propendere più Russell Kirk che per Strauss, tende a ricondurre e stemperare analiticamente certo criptomarxismo neocons nell’alveo di una più ampia tradizione di pensiero. Quale? Quella che appunto, secondo Russell Kirk, unirebbe Europa e Stati Uniti. Rappresentata dalle comuni radici classiche, cristiane e liberali(-conservatrici). Di qui, secondo Catà, la giustificata necessità di difendere in modo comune, valori comuni. Anche con la forza.
Per usare il gergo calcistico, la partita tra Preve e Catà finisce sul punteggio di 1 a 1. Forzandone a scopo esemplificativo le tesi (e ci scusiamo con gli autori): l’uno condanna, l’altro giustifica. Ed entrambi, pur mettendo a segno “reti” spettacolari (perché i due testi si leggono con interesse), non convincono completamente. E per una semplice ragione di griglia interpretativa: troppo stretta quella di Preve (Treviri e dintorni), troppo larga quella di Catà (Atene, Gerusalemme, Roma … e Washington).
Comunque sia, siamo davanti a una raccolta interessante, ricca anche di riferimenti bibliografici e di stimoli a un ulteriore approfondimento. Che evidenzia un fatto fondamentale: il problema del rapporto Europa- Stati Uniti è di tipo culturale, prima che militare e strategico. Come nota giustamente Franco Cardini nel fluviale ma intrigante intervento finale (Europa e Occidente. Dall’identità imperfetta alla divaricazione), tutto teso a documentare rigorosamente l’ambiguità ideologica del concetto di Occidente (soprattutto se sponsorizzato da Washington): “Resta indispensabile (…) determinare un vero sviluppo della coscienza patriottica europea”.
Un compito gigantesco e meritorio. Che va ben oltre il 2008, come accennato all’inizio. Ma dal quale non è possibile prescindere. Dal momento che è in gioco il futuro dell’Europa come entità politica. 

Carlo Gambescia

Nessun commento:

Posta un commento