Il libro della settimana: Salvatore Santangelo, Le lance spezzate, Nuove idee, Roma 2007, pp. 312, euro 15,00.
Non è una provocazione. Ma consigliamo ai pacifisti
intelligenti, e ce ne sono tanti, di leggere l’ultima fatica di Salvatore
Santangelo, brillante e giovane studioso di “geofilosofia”, (Le lance spezzate,
Nuove Idee, Roma 2007, pp. 312, euro 15,00). Per quale ragione?
Perché il libro di Santangelo è una raccolta di notevoli riflessioni sull’immaginario che ruota intorno alla guerra. Nel senso di un’analisi delle idee-forza (filosofie per e dell’azione) che gli uomini hanno maturato sull’importanza dei diversi ambiti geografici, ma principalmente a scopi politici e militari. Di qui seguendo l’etimologia del termine geografia (da gê, "terra"; gráphos, "io descrivo") l’origine del termine geofilosofia, coniato in realtà dallo studioso americano John K. Wright (1947), e poi ripresa, in senso disciplinare, da vari autori tra i quali, oggi, Santangelo.
Ma non solo. L’analisi del giovane geofilosfo rinvia a un approccio teorico forte: quello del realismo politico. Che vede nella guerra, e soprattutto nelle cosiddette guerre asimmetriche di oggi, una realtà ineliminabile. E con la quale è perciò necessario fare i conti. Pertanto il libro si muove su due livelli. Il primo, molto intrigante, concerne l’impatto della guerra sull’immaginario contemporaneo (cinema, letteratura, eccetera). Il secondo, non meno importante teoricamente, riguarda il rapporto tra guerra e politico.
Ed è su questo ultimo aspetto che concentriamo la nostra attenzione. Le lance spezzate è percorso da una critica che non possiamo non condividere: quella alla moralizzazione universalistica della guerra e quindi alla sua "oggettiva" depoliticizzazione (ecco il perché del titolo “lance spezzate”, in senso schmittiano…). Oggi, come mostrano le guerre americane, si dichiara di combattere in nome di valori pre-politici, come la difesa dei “diritti universali e assoluti” dell’uomo. Diritti non condizionati, così si sostiene, da alcuna appartenenza nazionale. Si parla perciò di guerre che non avrebbero alcun bisogno di essere ricondotte nell’alveo delle motivazioni delle guerre classiche, intraprese in passato dallo stato-nazione. In certa misura le guerre di oggi sarebbero pre-politiche mentre quelle di ieri politiche. Nel senso di un'assenza di qualsiasi riferimento allo Stato in termini di realistica “ragion di potenza”.
In realtà le cose non stanno così. Come spiega chiaramente Santangelo le guerre continuano ad essere “politiche”. E dunque legate a ragioni di potenza. Ma con una differenza fondamentale: che “fingendo” di non esserlo nelle motivazioni, come per primo intuì Carl Schmitt, hanno acquisito e sviluppato una forza dirompente, mai conosciuta prima (anche per i progressi tecnologici): l’ ”avversario” oggi viene collocato, pre-politicamente, tra i “nemici” dell’umanità. Perché in lui si vuol vedere non più l' avversario di una volontà di potenza particolare, ma il “nemico assoluto” dei diritti universali dell’uomo. Di qui quella ferocia inaudita dei conflitti, oggi sotto gli occhi di tutti.
Ora, come accennato all’inizio, consigliamo la lettura di questo libro ai pacifisti intelligenti. Perché un pacifismo che non tenga conto di questa involuzione ideologica ma con conseguenze reali (dalla guerra di potenza "particolare" alla guerra "totale" per i diritti universali), rischia di porsi sullo stesso piano universalistico degli attuali difensori della guerra universalistica. Dal momento che entrambi i fronti puntano sull’eliminazione dell’avversario trasformato in nemico dei diritti universali (come dichiarano i sostenitori delle guerre moralistiche) o nella guerra in quanto fuori dell'universo umano (come auspicano i pacifisti). Realtà quest’ultima, come sappiamo, ineliminabile. Ma contenibile, come asserisce Santangelo, soprattutto, se si tenta di ricondurla non all’ idea di annientamento totale del nemico ma a quella di farne una volta sconfitto, un alleato, o comunque un futuro avversario leale… Accettando una pacata e umanizzante visione ciclica della storia e della guerra. Di qui però la necessità, anche sul piano militare, di dare spazio a “menti libere che comprendano la guerra e lascino libertà all’intelligenza e all’umanità”, nelle cose e non nelle rappresentazione universalistiche delle stesse.
Perché il libro di Santangelo è una raccolta di notevoli riflessioni sull’immaginario che ruota intorno alla guerra. Nel senso di un’analisi delle idee-forza (filosofie per e dell’azione) che gli uomini hanno maturato sull’importanza dei diversi ambiti geografici, ma principalmente a scopi politici e militari. Di qui seguendo l’etimologia del termine geografia (da gê, "terra"; gráphos, "io descrivo") l’origine del termine geofilosofia, coniato in realtà dallo studioso americano John K. Wright (1947), e poi ripresa, in senso disciplinare, da vari autori tra i quali, oggi, Santangelo.
Ma non solo. L’analisi del giovane geofilosfo rinvia a un approccio teorico forte: quello del realismo politico. Che vede nella guerra, e soprattutto nelle cosiddette guerre asimmetriche di oggi, una realtà ineliminabile. E con la quale è perciò necessario fare i conti. Pertanto il libro si muove su due livelli. Il primo, molto intrigante, concerne l’impatto della guerra sull’immaginario contemporaneo (cinema, letteratura, eccetera). Il secondo, non meno importante teoricamente, riguarda il rapporto tra guerra e politico.
Ed è su questo ultimo aspetto che concentriamo la nostra attenzione. Le lance spezzate è percorso da una critica che non possiamo non condividere: quella alla moralizzazione universalistica della guerra e quindi alla sua "oggettiva" depoliticizzazione (ecco il perché del titolo “lance spezzate”, in senso schmittiano…). Oggi, come mostrano le guerre americane, si dichiara di combattere in nome di valori pre-politici, come la difesa dei “diritti universali e assoluti” dell’uomo. Diritti non condizionati, così si sostiene, da alcuna appartenenza nazionale. Si parla perciò di guerre che non avrebbero alcun bisogno di essere ricondotte nell’alveo delle motivazioni delle guerre classiche, intraprese in passato dallo stato-nazione. In certa misura le guerre di oggi sarebbero pre-politiche mentre quelle di ieri politiche. Nel senso di un'assenza di qualsiasi riferimento allo Stato in termini di realistica “ragion di potenza”.
In realtà le cose non stanno così. Come spiega chiaramente Santangelo le guerre continuano ad essere “politiche”. E dunque legate a ragioni di potenza. Ma con una differenza fondamentale: che “fingendo” di non esserlo nelle motivazioni, come per primo intuì Carl Schmitt, hanno acquisito e sviluppato una forza dirompente, mai conosciuta prima (anche per i progressi tecnologici): l’ ”avversario” oggi viene collocato, pre-politicamente, tra i “nemici” dell’umanità. Perché in lui si vuol vedere non più l' avversario di una volontà di potenza particolare, ma il “nemico assoluto” dei diritti universali dell’uomo. Di qui quella ferocia inaudita dei conflitti, oggi sotto gli occhi di tutti.
Ora, come accennato all’inizio, consigliamo la lettura di questo libro ai pacifisti intelligenti. Perché un pacifismo che non tenga conto di questa involuzione ideologica ma con conseguenze reali (dalla guerra di potenza "particolare" alla guerra "totale" per i diritti universali), rischia di porsi sullo stesso piano universalistico degli attuali difensori della guerra universalistica. Dal momento che entrambi i fronti puntano sull’eliminazione dell’avversario trasformato in nemico dei diritti universali (come dichiarano i sostenitori delle guerre moralistiche) o nella guerra in quanto fuori dell'universo umano (come auspicano i pacifisti). Realtà quest’ultima, come sappiamo, ineliminabile. Ma contenibile, come asserisce Santangelo, soprattutto, se si tenta di ricondurla non all’ idea di annientamento totale del nemico ma a quella di farne una volta sconfitto, un alleato, o comunque un futuro avversario leale… Accettando una pacata e umanizzante visione ciclica della storia e della guerra. Di qui però la necessità, anche sul piano militare, di dare spazio a “menti libere che comprendano la guerra e lascino libertà all’intelligenza e all’umanità”, nelle cose e non nelle rappresentazione universalistiche delle stesse.
Come hanno insegnato i nostri Maggiori, si deve “pensare”
la guerra in senso nominalista e non rifiutarla a priori in chiave
universalistica e moralizzante. In conclusione un libro interessante e ricco,
che tra l’altro si avvale della brillante introduzione di un esperto polemologo
come Piero Visani.
Probabilmente nel recensire Le lance spezzate
abbiamo tralasciato alcuni suoi aspetti, ugualmente interessanti, in favore di
altri. Ma questo può essere uno stimolo maggiore alla sua lettura, proprio per
scoprirli. Del resto come nota Ortega y Gasset, quando si recensisce un testo
notevole, si ha sempre in mente il libro che noi si vorrebbe scrivere
sullo stesso argomento. Ma questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia
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