lunedì 14 settembre 2009

Coccodrillo per Giuseppe Genna




C' è piaciuto così tanto questo, di coccodrillo: http://roma.indymedia.org/node/12175 , che ne abbiamo scritto uno anche noi. Non per Mike - troppo banale - ma per Genna. Perché scrivere coccodrilli solo per i morti? Perché restare imprigionati nella gabbia del genere? Perché privare Genna della lettura del suo necrologio? In fondo il nostro è un atto di misericordia umana.
Come quello di Genna verso Mike Bongiorno.

***

E’ morto Giuseppe Genna, amico personale di se stesso. Giuseppe Genna è stato ucciso, ancor giovane, da una grave forma di mal di fegato. Causata, secondo i medici, non dall’abuso di alcolici ma di invidia.
E l’ invidia - si sa - nei letterati è malattia professionale. E Genna aveva tentato di farsi assegnare una pensione per causa di servizio. Negatagli da Berlusconi in persona (su consiglio, pare di Brunetta): così raccontano i suoi amici di Carmilla… Addolorati, ma già pronti a spartirsi le spoglie della webzine…
Hanno partecipato al funerale quattro gatti (perché gli Italians erano già andati in massa ai funerali di Mike): i compagni che sbagliano ( oggi sono di meno), i post-post-modernisti (ora sono di più), il fantasma a colori, ma febbricitante di Guy Debord. E il gatto di Baudrillard, appositamente giunto a Milano in aereo da Parigi. E infine Irene Pivetti.
Cesare Battisti da Rio, in videoconferenza e sulla musica di “Paris Canaille” (Paris bandit aux mains qui glissent,/ t'as pas d'amis dans la police/Dans ton corsage de néon,/ tu n'es pas sage mais c'est si bon... ) , ha letto ravviandosi il ciuffetto sbarazzino, un telegramma di condoglianze di Don DeLillo: “Però...”, gongolava, composto nella bara, un Genna, a dire il vero, dal ventre troppo gonfio.
Scompare un grande decostruttore. Soprattutto di Hitler. Decostruito - sai che sforzo… - attraverso il martello di Alan Bullock (lui, Genna, naturalmente, diceva che aveva il dono di scrivere muy rapido…).
Decostruttore, ma non della propria immagine. Uno scrittore che voleva vivere, e bene, facendosi pagare, e profumatamente, le palle di sterco da lui accuratamente preconfezionate. E da scagliare, almeno una volta al dì, contro gli sciocchi borghesi: quelli che poi dovevano tirare fuori i soldi.
Ma il meschineddu non aveva fatto i conti con chi era entrato in sala macchine prima di lui (gli Eco, e compagnia bella)… Del resto Genna, nonostante lo specchio gli dicesse ogni giorno il contrario, non era Joyce. E nemmeno un Arbasino qualunque. Al massimo avrebbe potuto aspirare a fare l’aiuto dell’aiuto regista di Peter Greenaway…
Di qui l’invidia, il mal di fegato. E infine la tomba. 


Carlo Gambescia

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