Coccodrillo per Giuseppe Genna
C' è piaciuto così tanto questo, di coccodrillo: http://roma.indymedia.org/node/12175 , che ne abbiamo scritto uno anche noi. Non per Mike - troppo banale - ma per
Genna. Perché scrivere coccodrilli solo per i morti? Perché
restare imprigionati nella gabbia del genere? Perché privare Genna della
lettura del suo necrologio? In fondo il nostro è un atto di misericordia umana.
Come
quello di Genna verso Mike Bongiorno.
***
E’ morto Giuseppe Genna, amico personale di se stesso. Giuseppe Genna è stato
ucciso, ancor giovane, da una grave forma di mal di fegato. Causata, secondo i
medici, non dall’abuso di alcolici ma di invidia.
E l’ invidia - si sa - nei letterati è malattia professionale. E Genna aveva
tentato di farsi assegnare una pensione per causa di servizio. Negatagli da
Berlusconi in persona (su consiglio, pare di Brunetta): così raccontano i suoi
amici di Carmilla… Addolorati, ma già pronti a spartirsi le spoglie della
webzine…
Hanno partecipato al funerale quattro gatti (perché gli Italians erano
già andati in massa ai funerali di Mike): i compagni che sbagliano ( oggi sono
di meno), i post-post-modernisti (ora sono di più), il fantasma a colori, ma
febbricitante di Guy Debord. E il gatto di Baudrillard, appositamente giunto a
Milano in aereo da Parigi. E infine Irene Pivetti.
Cesare Battisti da Rio, in videoconferenza e sulla musica di “Paris Canaille” (Paris
bandit aux mains qui glissent,/ t'as pas d'amis dans la police/Dans ton corsage
de néon,/ tu n'es pas sage mais c'est si bon... ) , ha letto ravviandosi
il ciuffetto sbarazzino, un telegramma di condoglianze di Don DeLillo:
“Però...”, gongolava, composto nella bara, un Genna, a dire il vero, dal ventre
troppo gonfio.
Scompare un grande decostruttore. Soprattutto di Hitler. Decostruito - sai che
sforzo… - attraverso il martello di Alan Bullock (lui, Genna, naturalmente,
diceva che aveva il dono di scrivere muy rapido…).
Decostruttore, ma non della propria immagine. Uno scrittore che voleva vivere,
e bene, facendosi pagare, e profumatamente, le palle di sterco da lui
accuratamente preconfezionate. E da scagliare, almeno una volta al dì, contro
gli sciocchi borghesi: quelli che poi dovevano tirare fuori i soldi.
Ma il meschineddu non aveva fatto i conti con chi era entrato in sala macchine
prima di lui (gli Eco, e compagnia bella)… Del resto Genna, nonostante lo
specchio gli dicesse ogni giorno il contrario, non era Joyce. E nemmeno un
Arbasino qualunque. Al massimo avrebbe potuto aspirare a fare l’aiuto
dell’aiuto regista di Peter Greenaway…
Di qui l’invidia, il mal di fegato. E infine la tomba.
Carlo Gambescia
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