martedì 29 settembre 2015

Sulle dimensioni “ideali” degli stati
Piccolo è bello? Dipende



Grazie all’amico-lettore Pietro Pagliardini  (e  altri amici),  sulla mia pagina Fb (*),  si è sviluppata, per arrivare al nocciolo, una discussione sulla dimensione territoriale ideale delle unità politiche.
Diciamo subito che non esiste una "misura" precisa.  A meno che non si adotti una visione evoluzionistica (e ottimistica), dalla tribù primitiva ( o ancora prima dall’orda) fino allo stato moderno. Esistono, forse, solo dimensioni ottimali,  legate alle risorse morali e materiali possedute  e agli equilibri geopolitici e storici.  Il che spiega, di volta in volta il predominio della città-stato, dell’impero, dell’organizzazione feudale (per limitarsi, semplificando, a tre forme tipiche di unità politica e territoriale). Ma è impossibile aggiungere altro.
La storia del’antico Egitto, ad esempio è stata ricostruita e interpretata da Jacques Pirenne, come un ciclico altalenarsi di centralismo e feudalesimo. Stesse osservazioni  sono state estese alla Cina (Grousset), alla Russia medievale e moderna (Portal), all’Europa (Toynbee).
Insomma, dal punto di vista sociologico,  esistono solo processi ciclici di composizione e decomposizione del potere. La dialettica principale è tra forze centrifughe e centripete. Alle quali gli uomini sovrappongono i propri valori (il culto del piccolo, del grande, eccetera).  
A dire il vero, sul piano militare  lo stato moderno, conseguendo il massimo dell’accentramento, rispetto ad altre forme politiche,  ha provato di possedere una enorme forza organizzativa e distruttiva.: un aspetto, che quando giunge un nemico alle porte della città,  non deve essere mai sottovalutato. Va però ammesso che sul piano  sociale, fu dolce vivere nei primi due secoli dell’Impero Romano (non ancora scivolato verso forme di “dispotismo asiatico”) o nel tardo medioevo comunale (Due-Trecento), per così dire fuoriuscito dal feudalesimo, ma non troppo (“L’ aria delle città rendeva liberi”, ma non del tutto dai palazzi degli antichi  feudatari trasferitisi in città..),  così  come  è dolce vivere, tuttora, all’interno degli stati occidentali post-seconda guerra mondiale (1945-…): un mix di centralismo e individualismo sociale.
Ma l’Impero romano divenuto  troppo grande dovette passare la mano, così fu per il  comune medievale, troppo angusto, per i processi sociali legati allo sviluppo della moderna economia di mercato. Per contro lo stato  moderno, nelle sue diverse  versione storiche  (assoluto, costituzionale, democratico) ha trovato un suo equilibrio dimensionale,  storico e sociologico,   piaccia o meno,  in termini  di welfare-warfare, equilibrio però,  faticosamente raggiunto negli ultimi settant’anni, quindi molto tardi.  Ora però, rimesso in discussione dai processi di “europeizzazione” e  di globalizzazione economica. E da una guerra che sembra essere alle porte.  Come finirà? Difficile intuire. E contro il nemico fondamentalista, ci salverà il ritorno a  nuovo feudalesimo romantico?  Ne  dubitiamo. Anche se - oggettivamente e sociologicamente - non si può escludere, un ciclico ritorno, dopo il massimo dell'accentramento statale, a forme di  decentramento politico.       
Ciò che è invece necessario capire è che esistono, controindicazioni, per ogni forma  politica.  Nessuno è perfetto.
Carlo Gambescia   


2 commenti:

  1. Nel mio percorso cognitivo, carissimo Carlo, ho a volte scorto barlumi, tracce, verso la verità. Chi o cos'è? Potrei buttarla in religione o in filosofia, credo, però, che si possa parlare di verità in termini di avvicinamenti d'esperienza. Piccoli passi, certo, che ti approssimano a visioni d'insieme, quelle sulla civiltà e la sua deformazione più sottovalutata, la società (così la considero). Dicevo piccoli passi, anche verso se stessi. Micro e macrocosmo, collegati ma più spesso in conflitto. Ho ragione di credere (potrei però ricredermi) che la Storia non sia fatta dai popoli, dall'uomo-massa, dai poveri, dalle forme del politico, no, la Storia, quel fiume maestro che scorre verso la fine-inizio è guidata da singoli ed eccezionali uomini, folli sapienti illuminati, ma da singoli e non necessariamente noti o famigerati. Uomini con capacità magnetiche, attrattori di stati d'animo e di energie, ma anche distruttori, agenti del caos. Il compito nostro è quello di saperli riconoscere dandogli credito o rifuggendoli come la peste. Per tali esseri la forma migliore di applicazione del potere, credo sia la comunità. Comunità di intenti, di visione, cittadelle-stato. Il rischio? Come quello che corriamo sempre: la dittatura. Già, non c'è regime politico che non sia potenzialmente dispotico. Non c'è impero che non possa essere illuminante, così come non c'è democrazia che non nasconda il suo volto infero. Obama non è Pericle, anzi, rappresenta (come funzione non come persona, ben misera) il più grande inganno che l'umanità abbia mai subito, ossia quello di far credere che si sia tutti uguali di fronte alla Stato e con gli stessi diritti. Checché ne dica il papa, gli yankee simboleggiano come popolo-nazione la nuova Babilonia, capitale del mondo.
    Credo, fermamente, che l'incontro-scontro tra visioni diverse, possa far scaturire nuova linfa, luce rischiarante sul bene e. di conseguenza, sulla Verità, fine dell'uomo.

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  2. Grazie Angelo dell'interessante commento. Un caro saluto!

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