Modesta difesa ( o quasi) del bordello…
di Carlo Gambescia
Nell’udienza di lunedì scorso, il Pubblico ministero Pietro Forno, a proposito delle serate Bunga Bunga, ha parlato di «bordello». Facendo riferimento ad un «sistema strutturato per fornire ragazze disponibili a prostituirsi» . Salvo poi, nella serata ritrattare, secondo alcuni, goffamente: «Non ho mai detto che Arcore era un bordello. Il termine bordello è stato utilizzato come riferimento storico alla divisione dei compiti prevista dalla legge Merlin che, come noto, prevedeva la soppressione delle case chiuse».
Se si apre un dizionario, alla voce bordello si legge: «1. Casa di tolleranza, postribolo; 2. luogo malfamato, ambiente corrotto, 3. pop. Chiasso, fracasso confusione ».
Ora, giudici a parte, mettere sullo stesso piano, come spesso si legge sui giornali ferocemente antiberlusconiani, le serate Bunga Bunga e quelle di una casa di tolleranza, con tanto di scampanellate e marchette, è improprio, come spiegheremo più avanti. Forse, sì può parlare di luogo malfamato? Mah… dalla lista delle personalità chiamate a testimoniare non pare proprio… Ambiente corrotto? Certo, se si dà credito all’Accusa, l’ambiente non poteva non essere corrotto… Ovviamente, la Difesa sostiene il contrario. Quindi, per ora, siamo 1 a 1. Dobbiamo perciò sospendere il nostro personale giudizio, fino ai tempi supplementari (se non addirittura ai calci di rigore) della sentenza definitiva. Chiasso, fracasso, confusione? I vicini, a quanto risulta, non si sono mai lamentati.
Battute a parte, occorre fare un passo indietro.
Robert Musil, a proposito di un suo personaggio, scrisse: «Certo, se si vuole assolutamente definire prostituzione il vendere per denaro soltanto il proprio corpo, e non, com’è costume, l’intera persona, allora bisogna dire che Leona, occasionalmente esercitava la prostituzione».
Il lettore prenda nota: «Vendere l’intera persona». Ma le ragazze del Bunga Bunga, vendevano (ammesso e non concesso che si vendessero…) l’intera persona? Stando alle intercettazioni, no. Insomma, non agivano da professioniste del vecchio bordello (la prostituzione dell’intera persona come fine in sé), ma giudicavano il Bunga Bunga un mezzo (non coinvolgente la propria persona più di tanto), per arrivare ad altro: televisione, cinema e, certamente, anche soldi. Certo, possiamo condannarle moralmente. Ma nulla più.
Ovviamente, il ragionamento può sembrare cavilloso: per la legge si configura il reato di prostituzione, quando c’è un corrispettivo in denaro, punto e basta. Tuttavia, le professioniste del bordello appartenevano a un mondo affettivamente ricco e tutto sommato più onesto. Come prova, e in modo suggestivo, la vecchia raccolta curata dal grande Giancarlo Fusco (Quando l’Italia tollerava). Il bordello, per molti “clienti”, era una specie di seconda e accogliente casa “chiusa”. Perché, mettere il vendita l’intera persona, per la prostituta, socialmente dichiarata ( e “schedata”), significava non puntare ad altro: era quel che faceva… Di qui, la chiara divisione dei ruoli, ma anche un clima di affettuosa “tolleranza”, talvolta intimità, tra “signorine” e clienti abituali.
Certo, la sensibilità attuale non si riconosce più in un mondo spazzato via, e per certi aspetti giustamente. Ma proprio per tale ragione, che c’entra il Bordello con il Bunga Bunga?
Carlo Gambescia
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