Il libro della settimana: Giacomo Marramao, Passaggio a
Occidente. Filosofia e globalizzazione, nuova edizione
accresciuta, Bollati Boringhieri 2009, pp. 278, euro 20,00.
http://www.bollatiboringhieri.it/scheda.php?codice=9788833920146 |
Giacomo Marramao resta sicuramente il
filosofo politico italiano più interessante per ricchezza di pensiero e
sistematicità. Nonché per qualità scrittura. Gli appartiene infatti una
chiarezza di parola sconosciuta ad altri, pur illustri colleghi, come Massimo
Cacciari e Carlo Galli.
Pertanto bene ha fatto Bollati Boringhieri a riproporre, arricchito di un
capitolo (il Decimo), il suo Passaggio a
Occidente. Filosofia e globalizzazione ( Torino 2009, pp. 278, euro
20,00). Il libro è un’intrigante mappa - per problemi - di una globalizzazione,
che sembra non finire mai.
Ma perché “passaggio a Occidente”? Come spiega Marramao,
“per cogliere la logica specifica di questa
globalizzazione enucleando i tratti che la contraddistinguono dalle
globalizzazioni precedenti, occorre piuttosto intenderla come un ‘transito’,
come un passaggio a Occidente. Il termine ‘passaggio’ va tuttavia liberato -
prosegue il filosofo - dalle varie teorie della ‘transizione’, per essere
assunto nel duplice significato di viaggio e di mutamento , di rischio e di
opportunità . La dinamica di trasformazione e di dislocazione globale dei
poteri che, a partire dalla caduta del Muro di Berlino, si sta svolgendo sotto
i nostri occhi altro non è che un impervio passaggio a Nord-Ovest di tutte le
culture: un periglioso e avvincente transito verso la modernità destinato a
produrre cambiamenti radicali nell’economia come nella società, negli stili di
vita come nelle forme di comportamento non solo delle civiltà altre, ma della
stessa civiltà occidentale” .
Dunque, la globalizzazione come processo
aperto e creativo. Perché secondo Marramao - così pare di capire - dove c’è
rischio c’è salvezza: nel senso della possibilità di sviluppare nuove logiche
sociali - una sorta di globalizzazione buona - fondate sull’economia del dono,
sulla solidarietà e sul rispetto delle differenze.
Marramao ritiene conciliabile all’interno del proceduralismo liberale, economie
di mercato e solidarietà “glocale” (da “glocalismo”), in un contesto post-stato
nazionale, segnato “dal ravvicinamento tra le grandi civiltà planetarie”. Ma
lasciamo a lui la parola:
.
“Il modello procedurale costituisce il
presupposto, o se si vuole la conditio sine qua non , di una concezione della
democrazia in cui mi riconosco profondamente: senza procedure, senza certezza
del diritto, senza formalismo giuridico, nessuno di noi potrebbe dirsi
veramente libero. E tuttavia la democrazia non è soltanto procedura, non è
soltanto diritto: è anche altre cose” .
Si tratta di una posizione condivisibile,
che tuttavia pare contrastante con un’altra affermazione, riguardante proprio
“le altre cose”:
“Penso piuttosto a una politica che,
collocandosi ‘al di là del bene e del male’, sia capace di muovere dalla scena
influente rappresentata dall’esperienza del dolore. Forse dovremmo cominciare a
pensare alla democrazia come a una comunità paradossale, a una comunità di
senza-comunità, i cui princìpi costitutivi discendano direttamente dalla
priorità normativa del dolore o, adottando la formula della teologia politica
rovesciata, dell’autorità di coloro che soffrono”.
Ma come conciliare il proceduralismo con il
risentimento - perché di questo si tratta - di “coloro che soffrono”? Non c’è
il rischio di istituzionalizzare, una sorta di robespierrismo universalista,
fondato sulla “virtù della sofferenza”? Magari in termini planetari. Insomma,
per dirla tutta, di facilitare la nascita di un superstato mondiale - e chissà
a che prezzo - di “salute pubblica”?
Crediamo che un teologia politica anche se “rovesciata” resti sempre una
teologia. Probabilmente quel che manca a Marramao è buona teoria del politico
(si vedano ad esempio il riduttivo capitolo su Schmitt, il cui pensiero viene troppo
storicizzato, e quello altrettanto “depoliticizzato” su Polanyi). Ma ci
spieghiamo meglio.
Le trasformazioni sociali non sono mai automatiche… Hanno sempre natura
politica, e la politica è decisione, e la decisione fonte di conflitto. Il che
significa che il conflitto non sempre può essere proceduralizzato. Dal momento
che la “proceduralizzazione” (o mediazione istituzionale: il riportare tutto in
Parlamento…) diventa tanto più difficile e pericolosa quanto più universalizza
il valore in gioco: figurarsi un valore assoluto come quello di un dolore
sociologicamente basato sul risentimento, a prescindere dalla buona fede di
Marramao. L“istituzionalizzazione” ideologica della sofferenza rischia perciò
di sfociare o in una Nuova Chiesa Laica, con la sua Santa Inquisizione dei
Diritti umani e universali, o in una carneficina mondiale a fin di bene: “per
elevare i meno fortunati”. O in entrambe le cose.
Povertà e sofferenze non vanno ignorate, ma contrastate. Tenendo però sempre
presente la logica politica amico-nemico. Una logica sempre rinascente, pure
“in basso”. E anche quando si hanno le migliori intenzioni.
In questo senso - e dispiace contraddire Marramao, che comunque ha scritto un
buon libro - la politica non potrà mai essere “al di là del bene e del male”,
dal momento che i primi a non esserlo sono proprio gli uomini, sofferenti o
meno.
Un’idea assoluta, anche se nobile o “teologicamente rovesciata”, resta, per
dirla con Borges, come un coltello chiuso in un cassetto. Prima o poi incontra
la mano dell’ assassino…
Carlo Gambescia
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