Uccisi i tre ragazzi israeliani rapiti
La terribile
logica della guerra
“Un insensato atto di terrore”. Per una volta siamo d’accordo con Barack Obama. Naturalmente, il radicalismo neocomunista e neofascista, da sempre schierato con la
Palestina , tirerà
fuori le solite storie ripugnanti. Quali? Dalla mano dei servizi israeliani al "sacrosanto
atto di giustizia" in nome dei bimbi palestinesi uccisi dai “nazisti" israeliani.
Come del resto, dall’altra parte, i fondamentalisti filo-israeliani grideranno vendetta, invocando epocali ed esemplari punizioni.
In realtà, il conflitto tra
israeliani e palestinesi, proprio alla luce di quest'ultimo terribile episodio, può essere un interessante banco di prova per riflettere sui meccanismi della pace e della
guerra. Ovviamente "applicati" alla situazione mediorientale. Pareto parlerebbe di verifica, attraverso i fatti, di una certa teoria.
La guerra (anche fredda) è un meccanismo a spirale dotato di forza
propria che, una volta messo in moto
dall’uomo, non si ferma fino al
soggiogamento o distruzione di uno dei
contendenti. Ovviamente, implica fasi
calde e fredde, come dire armistiziali: non c’è guerra ma si è sul piede di
guerra, armati, non solo in senso fisico, fino ai denti. La guerra non impone alcuno sforzo perché è una
naturale costante (in senso sociologico) della condizione umana. Il polemos
in qualche modo, se ci si perdona la banale metafora sartoriale, è un abito su misura che l’uomo indossa volentieri.
Invece la pace è un meccanismo gestito totalmente dall’uomo. Non è una “macchina” a fin di bene, come crede in modo ingenuo il
costruttivismo: una "macchina" delle meraviglie che una volta avviata procederebbe da
sola, autoalimentandosi fino all’instaurazione del “paradiso in
terra”... In realtà, la pace (soprattutto il mantenimento della) impone sforzi sovrumani,
perché si tratta di una scelta culturale piuttosto che di una costante naturale (sempre in senso
sociologico). Per restare in metafora,
la pax è un abito poco gradito
all’uomo, perché, sempre, di un paio di misure più stretto.
Sotto questo aspetto il conflitto
israelo-palestinese - proprio
perché tale, anche per definizione
- non è mai finito Anzi, è decisamente in atto. Perciò tutte le pompose frasi, che leggiamo,
sul processo di pace che sarebbe in corso, hanno sì un valore, ma - ecco
il punto - solo all’interno di una
situazione conflittuale (calda o fredda).
Insomma, più che di processo di
pace si dovrebbe parlare di processo
armistiziale: dal momento che finora i
due contendenti non hanno mostrato di
avere alcuna voglia di fare quel “salto” culturale dalla guerra alla pace, di cui si diceva.
Di qui però, il susseguirsi di azioni e reazioni, secondo l’inevitabile
spirale del meccanismo bellico, anche nella sua spietata versione terroristica, come nel caso dei tre ragazzi rapiti e uccisi. Quindi, prepariamoci a una dura reazione israeliana. Alla quale seguirà una replica dei palestinesi, e così via...
Purtroppo, l’uomo, se offeso, non porge mai
naturalmente l’altra guancia.
Colpisce a sua volta. Per alcuni
l’occhio per occhio rappresenta la più antica ed elevata forma di giustizia. Il che è vero, ma rinvia a una logica bellica o polemica. Mai dimenticarlo.
Carlo Gambescia