In questi giorni torna alla ribalta Almerigo Grilz, giornalista triestino, nato nel 1953, morto nel maggio del 1987 in Mozambico mentre seguiva un conflitto dimenticato, documentando una battaglia fra i miliziani del RENAMO, finanziato dal Sud Africa e dalla Cia, e l’esercito governativo, emanazione del FRELIMO di orientamento socialista.
Un tempo nome di culto nelle retrovie missine, oggi Grilz è stato elevato a simbolo “nobile” da Fratelli d’Italia. Come è avvenuto? Grazie al film di Giulio Base, Albatross, in uscita proprio in concomitanza con le celebrazioni ufficiali. La pellicola si propone di restituire a Grilz lo status di “eroe dimenticato dalla sinistra”, vittima di una “cancel culture” ante litteram.
Sui giornali di destra, “Secolo d’Italia” in testa (stendiamo un velo pietoso sul refuso addirittura nel titolo) Grilz (non Gritz) viene descritto come un pioniere del giornalismo d’inchiesta in zone di guerra, un uomo coraggioso, perseguitato per la sola colpa d’aver avuto “la tessera sbagliata in tasca”. Il sottinteso è sempre lo stesso: la sinistra odia chiunque osi non pensarla come lei. Ma le cose, come spesso accade nella politica italiana, sono più torbide e più semplici allo stesso tempo.
Almerigo Grilz non era un giornalista qualsiasi. Era un militante. Un ex dirigente del Fronte della Gioventù e del Movimento Sociale Italiano, per anni parte attiva dell’estrema destra neofascista triestina.
Non mancano episodi inquietanti nel suo curriculum. Nel luglio 1972 viene denunciato per aver disturbato una manifestazione antimilitarista con slogan e gesti fascisti. Nel 1976 è identificato come uno degli aggressori di tre militanti di sinistra, picchiati a sprangate. Sempre nel 1976 viene espulso dall’Università di Trieste per aver lanciato bottiglie contro altri studenti durante un volantinaggio missino, ferendone alcuni. Nel 1977 appare armato in una foto scattata a Trieste da Claudio Ernè: fucile in mano, in compagnia di altri uomini, in un contesto tutt’altro che civile.
Nel giugno 1983 partecipa come oratore a una manifestazione del Movimento Sociale Italiano a Basovizza, frazione di Trieste a forte componente slovena. Non un luogo qualunque: Basovizza è oggi sede della “Foiba monumentale”, divenuta nel tempo uno dei principali simboli del patriottismo della destra, spesso sfruttata politicamente per costruire una memoria unilaterale del confine orientale, che omette o minimizza la lunga storia di violenze fasciste nella regione.
Il comizio, inizialmente previsto a Dolina e vietato dal prefetto, si svolse in un clima pesantemente intimidatorio, come rilevato nella relazione del vicequestore Sergio Petrosino, secondo cui i presenti — fra cui “il noto Grilz” — non mostravano “l’atteggiamento di chi si prepari a un pacifico rito elettorale”. Dopo la manifestazione, il gruppo si spostò nel quartiere di Longera (Lonjer), altro centro a maggioranza slovena, dove si registrarono gravi episodi di violenza. Grilz fu visto colpire dei passanti con un altoparlante, gridando: “S’ciavi, veremo ciorve per le case uno per volta”. Tra i feriti vi fu Milka Kjuder, moglie del partigiano Oskar Kjuder, colpita al petto con un bastone. Il quotidiano sloveno “Primorski dnevnik” pubblicò le foto del pestaggio, documentando l’aggressione (*).
Un episodio che non racconta solo la storia di un singolo fanatico, ma restituisce lo spessore ideologico e violento di una certa militanza neofascista, che oggi viene romanticizzata sotto il velo del “patriottismo” e del “sacrificio per la verità”.
Grilz ha poi intrapreso la carriera di reporter, certo. Ma anche in quella veste ha mantenuto lo stesso strabismo ideologico: ha documentato le guerriglie in Mozambico, Angola, Libano e altre parti del mondo, sempre dalla parte delle milizie anticomuniste. Mai un’inchiesta sul Sudafrica dell’apartheid. Mai una parola sui desaparecidos cileni o argentini. Il nemico, per lui, era sempre e solo il comunismo. Il resto: silenzio o complicità.
Il film su Grilz, firmato da Giulio Base —molto vicino, si dice, al governo Meloni — si inserisce nel filone del “cinema della destra”: un progetto più propagandistico che culturale, volto a riscrivere la storia a colpi di biopic edificanti. Ma la storia di questo tipo di cinema è lastricata di insuccessi.
Pensiamo ai fallimentari tentativi di Renzo Martinelli, con Barbarossa (2009), kolossal leghista finanziato con denaro pubblico e ignorato dal pubblico, o Il mercante di pietre (2006), delirante film anti-islamico dai toni paranoici e reazionari. O ancora, tornando agli anni Sessanta, ai “mondo movie” colonialisti e razzisti di Gualtiero Jacopetti (Africa Addio, Addio zio Tom), dove la violenza coloniale veniva spettacolarizzata sotto il pretesto del documentario d’inchiesta per favorire il botteghino.
Il cinema della destra, in Italia, fallisce non perché boicottato dalla sinistra, ma perché incapace di interrogarsi criticamente sul proprio passato. Sostituisce la complessità con la nostalgia, la riflessione con la glorificazione. E il pubblico, anche quello più conservatore, a lungo andare, se ne accorge.
Grilz, nel bene e nel male, rappresenta quel mondo. Ed è per questo che oggi viene rispolverato. Non perché sia stato un grande giornalista — ce ne furono di più bravi, e più onesti intellettualmente si pensi ad esempio a Ettore Mo – ma perché la sua figura funziona come totem identitario. Serve a costruire un pantheon parallelo, dove la guerra si combatte sempre dalla parte “giusta”, purché sia anticomunista.
In questo senso, Fratelli d’Italia non è un partito di destra conservatrice: è il prodotto evoluto — e mimetizzato — di una lunga storia postfascista mai davvero superata. Un passato che non passa. Che non cambia, né può cambiare. Perché si fonda su una memoria selettiva, su un culto vittimista, su una cultura politica che ha sempre avuto un grosso problema con la democrazia liberale. Ma quale dialogo tra destra e sinistra? “S’ciavi, veremo ciorve per le case uno per volta”… Ecco il vero Almerigo Grilz.
Celebrandolo, non si rende omaggio a un cronista di guerra: si rivendica, senza dirlo, l’eredità di una destra che ha sempre preferito l’ordine alla libertà, la forza al diritto, l’appartenenza all’autonomia. E che, pur camuffandosi da moderna e moderata, resta ideologicamente inchiodata alla nostalgia.
Per questo Fratelli d’Italia non è semplicemente un partito nostalgico. È un partito politicamente pericoloso. E il vero rischio, oggi, è che una parte del Paese continui a credere che il fascismo sia solo un problema di passato, mentre invece è — ancora — una questione profondamente presente.
Carlo Gambescia
(*) Le informazioni su alcuni episodi citati provengono da fonti riportate su Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Almerigo_Grilz ) . Pur consapevoli dei limiti metodologici di tale riferimento, lo riteniamo adeguato in un contesto divulgativo. Mancano, è vero, citazioni dirette e contraddittorio, e proprio per questo invitiamo chi dissente a fornire documentazione e contro-argomentazioni.

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