mercoledì 2 luglio 2025

Trump è ideologia. E la scienza politica abdica al suo compito

 


La scienza politica sta perdendo colpi. Abdica al suo ruolo. Per dirla senza troppi giri di parole, si sta perdendo in chiacchiere.

Leggiamo spesso, a proposito di Trump, della sua capacità di “capitalizzare il risentimento”: cioè di trasformare i voti la rabbia, giustificata o meno, della gente comune.

Eppure i classici – Platone, Aristotele – parlavano già di demagogia: quando la politica, soprattutto democratica, si riduce a lusingare i bassi istinti dell’elettorato. Il risentimento è uno di questi.

Uno stato d’animo che, come ricordano gli psicologi, consiste nel ritorno ossessivo sul proprio dolore morale, sull’offesa o sul torto subito, reale o presunto, senza possibilità di superamento, perdono o mediazione. Solo volontà di vendetta in servizio permanente effettivo.

Storicamente, due ideologie moderne sono nate proprio dal risentimento e dall’odio per la propria condizione: il marxismo (la classe) e il nazifascismo ( razza e nazione).

Non è un caso che queste ideologie abbiano sempre manifestato un odio profondo per il liberalismo – fondato sull’ammirazione per la ricchezza e lo spirito di tolleranza – e per il cristianesimo, centrato sull’idea di perdono. Su quest’ultimo punto, si ricordino le critiche di Nietzsche al cristianesimo e il pessimo uso che ne fece il nazismo paganeggiante.

Sia chiaro, anche liberalismo e cristianesimo, quando piegati all’autoconservazione, possono sviluppare tratti ideologici chiusi e intolleranti. Ma un conto è un’ideologia strutturalmente fondata sul risentimento; un altro è una visione del mondo che può momentaneamente caderci, senza farne il proprio nucleo.

Ecco perché non basta, sul piano analitico, dire che Trump “capitalizza il risentimento”. Trump è un demagogo che si colloca fuori dall’orizzonte liberale e cristiano.

La sua forma mentis, la sua ideologia, lo avvicinano molto di più – con le dovute proporzioni storiche – al fascismo, al nazismo e al comunismo, che al pensiero liberal-democratico. Questo va detto chiaramente, soprattutto da chi fa scienza politica.

Altrimenti si rischia di legittimare Trump come un politico “normale”, liberale o cristiano, che strumentalizza il malcontento per calcolo elettorale. Ma Trump non si limita a sfruttare il risentimento: vi crede. Ne fa il cuore ideologico del suo progetto politico.

Ed è qui che il discorso si fa più profondo: il trumpismo – come ideologia – nasce dal risentimento verso tutto ciò che, secondo la sua visione, ha impedito all’America di essere “grande”.

È una forma esasperata di nazionalismo identitario, che si nutre di rancore contro la sinistra, contro le minoranze etniche e politiche, contro il pluralismo in sé.

Il trumpismo è, a tutti gli effetti, un’ideologia della vendetta, proprio come lo furono – con modalità diverse – il fascismo e il nazismo in particolare.

Si rifletta.  Se è vero che Trump capitalizza il risentimento, è ancor più vero che quel risentimento non è solo uno strumento: è il cuore vivo di una visione del mondo regressiva, illiberale e autoritaria.Ridurre il fenomeno Trump a una semplice strategia di consenso significa ignorarne la natura ideologica e sistemica.

Il trumpismo propone una società chiusa, identitaria, polarizzata, ostile al pluralismo e al compromesso. Si vuole "vendicare" dei (presunti) torti subiti.

La scienza politica, se vuole restare all’altezza della sua missione, deve smascherare queste derive, riconoscendole per ciò che sono: non semplici espressioni di malcontento, ma progetti coerenti di demolizione dell’ordine liberale e democratico. Altro che "capitalizzazione del risentimento"…

Non basta contare i voti, e corteggiare lo stato d’animo di eletti ed elettori, come pretende il realismo politico standard, accademico: quello dei fatti compiuti,  sempre pronto a transigere, a inseguire l’equilibrio come fine, non come mezzo.

Occorre invece interrogarsi sulle idee che muovono gli eversori dell’ordine liberale. Idee che, dietro un linguaggio aggiornato, tradiscono parentele inquietanti con quelle che nel Novecento hanno prodotto solo rovine. E che vanno denunciate, con rigore e senza ambiguità.

Carlo Gambescia

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