domenica 6 luglio 2025

La destra italiana e la cultura: un’incompatibilità storica

 


Perché la destra italiana non ha grandi scrittori, filosofi, artisti dalla sua parte? Perché non può contare su figure di rilievo, ma solo su mezze o infime presenze? Le polemiche recenti sul Premio Strega, attaccato in modo diretto da un Ministro della Cultura – Alessandro Giuli, romanziere mai sbocciato – aiutano a spiegare molto. Così come l’ostilità sistematica verso il cosiddetto “cinema di sinistra”, accusato di nutrirsi di soldi pubblici.

La spiegazione principale risiede nell’isolamento culturale in cui la destra è precipitata dopo la sconfitta del 1945: un isolamento profondo, frutto di una precisa scelta storica e ideologica: quella di schierarsi, per usare le parole di Croce, De Ruggiero, Ferrero, Adorno, Horkheimer e Lukács, con i distruttori della ragione. Va notato che si tratta di pensatori di diversa formazione politica, ma accomunati dalla difesa della modernità liberale.

Come si potesse aderire a regimi guidati da due assassini come Hitler e Mussolini rimane, per molti uomini di lettere, un enigma morale prima ancora che politico.

Si pensi a Ezra Pound, intellettuale di genio, ma caduto in una spirale delirante, tanto che fu considerato malato di mente dalle autorità americane. Diagnosi che gli risparmiò una sorte peggiore.

Oppure a Marinetti: l’iniziatore del futurismo, nato come avanguardia iconoclasta, finì per diventare trombettiere del regime, affondando nella retorica più accademica e servile. Due parabole esemplari dell’incompatibilità profonda tra modernità culturale e autoritarismo politico.

Questa scellerata rottura con l’umanesimo e l’illuminismo è il vero peccato originale della destra italiana, che l’ha resa storicamente incapace di attrarre grandi menti. La cultura antifascista – al netto delle strumentalizzazioni sovietiche – si fondava e si fonda ancora sul rifiuto del razzismo, dell’intolleranza e dell’antiegualitarismo. Da questa base è nato lo sviluppo di quella che una destra marginalizzata ha liquidato, per consolarsi, come “cultura di sinistra”. Che però rappresenta, a tutti gli effetti, la cultura tout court, proprio in quanto erede dell’umanesimo moderno.

Va però fatta una distinzione: non tutta la destra si è posta fuori dalla cultura. Una destra liberale – seppur sconfitta, minoritaria – ha condiviso le stesse radici moderne della sinistra riformista: il liberalismo, la tolleranza, la libertà individuale. Che all’interno della cultura, nel suo complesso umanitarista, questa sinistra abbia prevalso sulla destra liberale, non cancella la comune appartenenza a un orizzonte moderno.

Il problema nasce quando si pretende di fare cultura restando fuori da quell’orizzonte, rivendicando un’identità che affonda le sue radici nel pensiero controrivoluzionario, reazionario, razzista. Una cultura che parla un linguaggio populista per veicolare un messaggio profondamente antilluminista.

Esageriamo? Si legga qui.

Fonti ministeriali (e ovviamente non si muove foglia che il Ministro Giuli non voglia) hanno comunicato che: “per l’anno prossimo il ministero della Cultura si riserva di offrire alla Fondazione Bellonci la sede di Cinecittà in via Tuscolana 1055. Tutto ciò – viene fatto notare – in piena coerenza con i princìpi del Piano Olivetti volti alla valorizzazione delle periferie metropolitane attraverso la presenza di rassegne culturali di eccellenza indirizzate principalmente alle giovani generazioni lontane dai centri storici.” (*)

Due cose saltano agli occhi:1) il linguaggio ridicolmente populista sulle “giovani generazioni”; 2) l’ appropriazione indebita del nome di Adriano Olivetti, intellettuale antifascista, da parte di un’area politica che non solo non può vantare figure di pari statura, ma nemmeno riesce a citarne una senza imbarazzo.

E a questo punto, già li sentiamo i soliti “fascistoni” pronti a dire ( sulla scia di “E allora le Foibe?”): “E allora il futurismo?” Alt! I manuali di storia spiegano bene che nel fascismo confluirono i filoni più sterili e declinanti delle avanguardie. Marinetti, come detto, ne è la prova: da ribelle a funzionario del potere.

La destra italiana si ostina a inseguire una legittimazione culturale che le è preclusa, per ragioni storiche e ideologiche. Vorrebbe riscrivere il passato mentre rifiuta il presente, e ogni suo tentativo di “fare cultura” finisce in caricatura: eventi sradicati, retorica reazionaria mascherata da rinnovamento, appropriazione indebita di simboli altrui.

Chi rigetta l’eredità dell’illuminismo, del liberalismo, dell’umanesimo moderno, si pone volontariamente fuori dalla cultura europea. E da lì continua a parlare, con la voce stridula dei giustamente sconfitti, degli emarginati dalla storia.

Non si tratta di censura. Si tratta di incompatibilità profonda.

Chi distrugge la ragione, non può pretendere di essere accolto nei luoghi della ragione. Anche se li trasloca in periferia.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/25_luglio_03/roma-il-premio-strega-trasloca-in-periferia-dal-ninfeo-di-villa-giulia-a-cinecitta-cf582dbb-9114-44d9-bd2c-0c71cf5dcxlk.shtml .

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