Pensavamo all’invito di Vincenzo De Luca, classico situazionista politico, al direttore d’orchestra russo, Valery Gergiev, considerato un filo-putiniano, chiamato a dirigere alla Reggia di Caserta.
Lo abbiamo definito situazionista. Diciamo pure che lo abbiamo graziato. Perché il personaggio rappresenta il peggior lato demagogico della politica italiana.
Non crediamo sia un difensore della libertà di pensiero: la regione Campania è da lui retta come un Soviet. Si pensi al suo linguaggio paternalistico e autoritario durante la pandemia, quando minacciava “lanciafiamme” per far rispettare le regole, o all’accentramento della comunicazione istituzionale, dove ogni dissenso è liquidato con sarcasmo o scherno.
Il suo unico scopo è quello di rafforzare il suo potere, lavorando su una comunicazione capace di dipingerlo come un uomo del popolo, dalla parte dei Campani.
Attenzione, dei Campani, non degli italiani. E neppure degli europei.
Emblematiche le sue uscite sull’Unione Europea durante la gestione dei fondi del PNRR, accusando Bruxelles e Roma di penalizzare sistematicamente il Sud. Un messaggio che sa più di rivendicazione localista che di spirito comunitario.
Vincenzo De Luca non è filo-Putin è filo-se stesso. È centrato sul suo ombelico.
Naturalmente, l’invito ha provocato polemiche politiche a non finire sulla libertà di pensiero e di arte.
Ora, qual è la ricetta liberale in materia? Che l’arte è libera. Con un però. Un uomo politico liberale, se tale ovviamente, evita, con intelligenza, il cosiddetto aut aut. Detto altrimenti: o di qua o di là.
In questo caso, un politico liberale, ripetiamo intelligente, non invita un artista, diciamo così, in odor di polemica, proprio per evitare inutili conflitti intellettuali che possano esaltare la contraddizione tra ciò che dice il liberalismo (l’arte è libera), e ciò che la realtà talvolta impone (non favorire la propaganda del nemico).
Un’agenda politica liberale, in una situazione di guerra con la Russia — tra l’altro provocata dalla Russia stessa, nemica dell’Occidente — fa finta che, artisticamente parlando, a livello di manifestazioni pubbliche, la Russia, al momento, culturalmente parlando (notevole sacrificio, per carità), non esista.
Insomma, elude il casus belli culturale. Come? Evitando di cacciarsi in situazioni come quella di invitare un russo, tra l’altro amico di Putin, che possano scatenare polemiche.
Per fare questo si deve però essere liberali per convinzione profonda. Cioè credere che, pur di preservare l’idea liberale, qualche volta ci si debba comportare, con i nemici dell’idea liberale, in modo pragmaticamente difensivo. Non può esservi alcun dialogo.
Però, ecco il punto, lo si deve fare con eleganza e accortezza.
Qui piace citare, non Machiavelli (che pure meriterebbe), ma un cantante: Lucio Battisti. Un autore che, insieme al paroliere Mogol, ha colto il punto.
Tra l’altro, Battisti — nonostante la destra tuttora lo reclami erroneamente come uno dei suoi — era un liberale. Ma questa è un’altra storia.
Come recita “Sì, viaggiare” (1977)?
“Sì, viaggiare / Evitando le buche più dure / Senza per questo cadere nelle tue paure / Gentilmente senza fumo con amore / Dolcemente viaggiare / Rallentando per poi accelerare / Con un ritmo fluente di vita nel cuore / Gentilmente senza strappi al motore”.
Ecco, il liberalismo deve evitare le buche più dure e gli strappi al motore. Parleremmo di liberalismo sobrio e realista. Al limite triste perché consapevole delle imperfezioni umane e degli artifici, non sempre lodevoli, per difendersi da esse.
Ovviamente, di tutto questo, De Luca se ne frega. Non è un liberale. Al di là dei distintivi, non si colloca in alcuna tradizione politica definita: è un funambolo del potere, agisce come conviene al momento, secondo convenienza e calcolo.
Per completare quanto detto nell’incipit, De Luca non è un politico, ma un istrione politico, uno che scambia il governo per palcoscenico e la comunicazione per show.
Ed è qui il punto nevralgico: quando la politica rinuncia a ogni principio in nome della propria immagine, l’arte non è più arte, ma soltanto uno specchietto per le allodole.
E il pubblico, invece che spettatore libero, diventa comparsa involontaria di una rappresentazione manipolata, attore inconsapevole di una messa in scena altrui.
Così, mentre la libertà viene sacrificata sull’altare dell’egocentrismo politico, il liberalismo arretra e la democrazia si svuota, lasciando campo libero al nemico.
Carlo Gambescia

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