mercoledì 9 luglio 2025

Contro il pacifismo delle buone intenzioni: Putin non leggerà Dostoevskij

 


L’editoriale di Francesco Provinciali sul "Riformista" oggi in edicola (*) va letto con attenzione, perché rivela i limiti di certo pacifismo tipicamente occidentale: quello delle buone intenzioni, che crede – sintetizzando – che il libro possa sostituire la spada. E per sempre.

Infatti, consigliare a Putin di leggere Tolstoj e Dostoevskij per poter così fare un passo indietro, dopo aver scoperto il valore della parola “pace” (al netto della buona fede di Provinciali), è di una ingenuità pazzesca. Il principe Myškin, protagonista dell’Idiota, per restare in tema, non riuscirà a cambiare il mondo. Anzi, verrà irriso dal mondo.

Può piacere o meno, ma per espiare – come accade a Raskòl’nikov in Delitto e castigo – serve una consapevolezza del castigo, che arriva solo dopo il delitto, mai prima. Quanto alla straripante generosità di Pierre Bezuchov, tra i protagonisti di Guerra e pace, siamo sul piano dell’utopia autodistruttiva.

Si ricordi sempre: se c’è un inflessibile meccanismo nel grande romanzo russo (Tolstoj e Dostoevskij), è quello dell’inesorabilità dei determinismi storici. Delle acque del male che si richiudono, inevitabilmente, sulle buone intenzioni degli uomini, dopo averli inghiottiti.

Ma quei determinismi – come ci insegna la stessa letteratura russa – non sono leggi fisiche. Piuttosto tendenze tragiche, a cui la coscienza può talvolta opporsi. Raramente, certo. Ma non mai.

Anche per questo è lecito cercare di attenuare le curve più dure della storia, pur sapendo che non si potranno mai raddrizzare del tutto. Si ricordi la lezione di Isaiah Berlin sul “legno storto”, grande liberale, lettone, classe 1909, che, prima di emigrare a Londra, pur bambino, ne vide di tutti i colori.

Fin qui, per quel che concerne la nostra interpretazione (e quella di Provinciali) – che è tipicamente occidentale – del grande romanzo russo (sul punto si veda il grande e dimenticato lavoro del compianto Roberto Valle su Dostoevskij politico e i suoi interpreti. L’esodo dall’Occidente, Archivio Izzi, 1990). Dopo di che va detto che abbiamo ignorato un aspetto fondamentale: il rifiuto russo del razionalismo occidentale.

Putin rifiuta l’Occidente e si riallaccia alla tradizione della Grande Madre Russia, che commisura la pace alla guerra. “Grande Madre Russia” è un concetto che incarna un misto di affetto, orgoglio nazionale, sofferenza collettiva e ambizione imperiale. È soprattutto uno strumento ideologico, profondamente radicato nella storia e nell’identità russa.

Perciò, altro che cultura del libro… Pace sarà quando la Russia sarà di nuovo grande. E, nel caso di Putin, quando i “fratelli” ucraini saranno tornati all’ovile. Anche usando la spada.

Il concetto è stato spesso strumentalizzato in tempi di guerra o crisi: durante le guerre napoleoniche, la Prima e la Seconda guerra mondiale, e anche durante la Guerra Fredda. L’appello alla difesa della “Grande Madre Russia” è stato usato per mobilitare il popolo e giustificare conflitti. Si collega al mito della Russia come erede di Bisanzio e protettrice della civiltà slava e ortodossa.

Una tematica che torna in Dostoevskij e soprattutto nel primo Tolstoj, senza dimenticare che l’ultimo sconfinò verso il rifiuto totale della civiltà moderna.

La figura di Putin, nel suo delirio di onnipotenza, richiama personaggi come Ivan il Terribile, Pietro il Grande, Paolo I, Nicola I e persino un leader comunista come Stalin. È una figura profondamente radicata nella storia russa.

Storia, che – come dicevamo – ha i suoi determinismi.

Ma anche qualche fessura. Qualche interstizio. Dove agisce l’imprevedibile. Dove può insinuarsi il dubbio, o perfino una scelta diversa. Per quanto improbabile.

E uno di questi determinismi resta il fatto che la pace, nella visione russa, non si concede: si impone, si conquista, si strappa con il sangue.

Chi si illude che basti l’evocazione del bene per dissolvere il male, confonde la letteratura con la storia.

Ma la storia – quella vera, tragica, implacabile – non contempla il lieto fine, ma neppure lo esclude a priori. Contempla, più spesso, la necessità.

E dentro quella necessità, una minuscola ma reale possibilità: che si possa almeno tentare di piegare la storia – anche solo un poco – in direzione del giusto.

Come? Dispiace dirlo, spesso opponendo spada a spada.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://www.ilriformista.it/qualcuno-metta-sul-comodino-di-putin-i-capolavori-di-tolstoj-e-dostoevskij-473738/ .

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