Riflessioni
Senza rischio non c’è vita sociale e non c'è libertà
Pochi sanno che la più grande rivoluzione della storia, in termini
politici, sociali, economici, culturali, non rimanda a nessun disegno umano.
Parliamo
della rivoluzione capitalista: della costruzione dal basso, senza alcun
progetto delineato, di una società che si è alimentata di scambi e diritti, ponendo
gli uomini per la prima volta nella storia sul piano di parità formale.
Naturalmente
l’interazione tra scambi, diritti e parità
si è sviluppata in corso d’opera, senza che nessuno sapesse cosa stava
accadendo. Questo perché alle origini
della cultura capitalista c’è l’accettazione o meglio il riconoscimento del rischio sociale: di una regolarità
sociologica ben rappresentata da fenomeni socialmente naturali come l’ uscire dal gregge, il tentare qualcosa di nuovo (magari fino a quel
momento proibito dalla Chiesa e dallo Stato Assoluto), qualcosa che però può
portare guadagno, onore e altre soddisfazioni, anche culturali, ma sempre
personali, perché frutto di interessi individuali, non imposto dall'alto, dal re o dal prete.
Detto
in breve, corsari, mercanti, conquistadores, agenti coloniali, inventori, speculatori, ingegnosi artigiani, abili coltivatori e proprietari terrieri, non immaginavano di edificare la società capitalista. Si agiva come sempre
aveva agito l’uomo, ma questa volta abbattendo, altrettanto misteriosamente, tutti gli ostacoli politici.
Per
contro, la prima teorizzazione della società capitalistica risale al suo principale nemico, Karl Marx. I capitalisti erano tali senza saperlo, almeno
fino alle pubblicazione delle opere marxiane (e della conseguente costruzione dei partiti politici anticapitalisti). Con Marx si consolidò e diffuse l’idea della possibilità della
costruzione di una società dall’alto, di una società priva di rischi, dove
vivere in totale sicurezza. Il marxismo, impasto di scientismo e romanticismo, non
digeriva ( e digerisce) la cultura del
rischio: all’interesse individuale opponeva
( e oppone) l’interesse collettivo.
Interesse
individuale, interesse collettivo, accettazione rischio, rifiuto del rischio,
sono nozioni e concetti operativi che dopo
Marx si sono sovrapposti come successive razionalizzazioni a una
realtà sociale, invece realmente fondata, come spiega la sociologia, sulla base della ricerca dell’interesse
individuale: ricerca individuale che
aveva permesso - ecco l’unicum storico - l’invisibile rivoluzione
capitalista.
Marx
in qualche modo porta in luce tale realtà, però storicizzandola. Proponendosi così, grazie a un escamotage concettuale, di
distruggere il capitalismo. Da buon teorico della scrivania, Marx ignora che in questo modo avrebbe invece distrutto
una realtà sociale in quanto tale, che, non è marxista né capitalista, ma rischiosa e concreta ricerca dell’interesse individuale: una sfida, insita nelle cose sociali, che storicamente e
sociologicamente si è sempre confrontata
con poteri estranei all’individuo. Misteriosamente finalizzatasi in età moderna nella società capitalista. E in che modo? Grazie agli scambi
invisibili (del proto-capitalismo, che non sapeva essere tale) e all’interazione di questi con lotta
per diritti l’uguaglianza formale (del
proto-liberalismo, altrettanto ignaro di ciò che stava accadendo).
Il
marxismo è morto ma ha lasciato in eredità ai vari movimenti sociali
collettivisti di sinistra e di destra la cultura dell’antirischio: una mistura di romanticismo e scientismo che si impone di
costruire dall’alto la società perfetta dove ogni rischio sarà eliminato. Si
ignora volutamente che l’eliminazione del rischio, cioè l’accettazione del fatto che la caduta di alcuni possa
garantire la libertà di tutti gli altri, uccide alla radice quel perseguimento dell’interesse personale
che è alla base di ogni reale agire sociale. Sotto questo aspetto, se proprio un
senso si vuole trovare nella storia umana, esso è rappresentato dal conflitto tra cultura del rischio e della libertà e
cultura dell’antirischio e dell’illibertà. Semplificando, forse troppo, tra
società senza padri e patriarcalismo.
La cultura antirischio, al fondo patriarcale, a causa dell' epidemia di Coronarvirus, ha preso di nuovo forza e rischia di seppellire la società sotto un oceano di regolamenti, controlli, norme. Sono tutte misure che sfiancano moralmente gli individui: li sottomettono e trasformano in bambini bisognosi di aiuto in cerca di padri benevoli. Ciò non è solo contro il capitalismo, ma contro le leggi che regolano la vita sociale in quanto tale.
Senza il rischio non c’è la società, dove non c'è la società c'è la caserma, e dove c'è la caserma non c'è libertà.
Carlo Gambescia