Correva l’anno 2020
La “reinvenzione” sociale
del Coronavirus
Il
peggiore vizio del nostro tempo si chiama faciloneria o superficialità. Ben incarnato dalla pretesa di dare risposte facili a domande complesse.
Ad esempio, di un evento sociale si vuole subito sapere come andrà a
finire. Come i se i tempi della realtà
storica fossero quelli di una miniserie
televisiva.
Per
un verso, l' atteggiamento è frutto della cultura di massa, che dovendo
parlare a tutti, deve semplificare il messaggio, tradurlo in semplici icone o simboli sociali; per l’altro dipende dalla rapidità comunicativa, veicolata dai mass media, portati in automatico a privilegiare, semplificando a
loro volta, la velocità rispetto all’esattezza e completezza della notizia.
Infine,
con lo sviluppo del digitale e dei cosiddetti Social i fenomeni della semplificazione e della
“velocizzazione” comunicativa hanno raggiunto il culmine, devastando il discorso pubblico, oggi ridotto a scontro tra belluine tifoserie a colpi di slogan e di striscioni.
La
classe politica (quindi tutte le forze politiche) invece di opporsi, si è
adattata al fenomeno. Il
populismo, oltre che essere l’affermazione di una visione retriva dei rapporti politici, è il punto di
arrivo politico della semplificazione digitale.
Il
Coronavirus rappresenta la prima epidemia all’epoca della semplificazione
politico-digitale. Il che spiega, come
un’ epidemia stagionale, forse poco più di un’ influenza ma gestibile in
condizioni normali (diciamo prima dell’avvento della semplificazione politico-digitale),
si sia trasformata, a causa di decisioni politiche prese sull’onda incontrollata delle
emozioni (altra forma di semplificazione psicologica) in una fiction catastrofista dai distruttivi effetti di
ricaduta, soprattutto economici.
L’epidemia?
Ci sterminerà tutti… Misure da prendere?
Le più dure possibili, proprio per ridurre il numero dei morti. E quanti
saranno? Miliardi… L’economia? Cosa
volete che sia di fronte alla scomparsa della razza umana…
Ecco
le superficiali domande e risposte che hanno
trasformato - ripetiamo - un’epidemia stagionale di influenza in una pandemia da
fiction catastrofista. Con conseguenze reali che sono però sotto gli occhi di tutti. Che diventano di giorno in
giorno più serie, a causa del pieno e rigoglioso sviluppo del romanzo (di appendice digitale) sul Coronavirus.
Una
letteratura popolare (e populista...) che ha necessità di stereotipi positivi: i medici eroici con
le stampelle, le infermiere in lacrime, le fosse
comuni cercate con il lumicino, le file di bare in prima pagina, le vecchine aiutate dal
volontario pagato dal comune, il
tricolore delle finali della Coppa del
Mondo alle finestre, il patriottismo alimentare, il bravo cittadino che
denuncia i passeggiatori abusivi. Ma anche di stereotipi negativi: il liberista
che taglia la sanità, l’Unione Europea matrigna che nega carrozza e denari, le multinazionali che
hanno fabbricato il virus per arricchirsi, il bieco evasore fiscale che, ammalatosi, approfitta dell’intensiva.
Insomma,
tutto un immaginario, ben gestito dai professionisti del Coronavirus (per parafrasare Sciascia), che, per quanto riguarda l’Italia (dai
politici ai giornalisti e intellettuali, dagli scienziati al mondo dello spettacolo) hanno trasformato alcuni episodi pilota a
Bergamo e Brescia in una gigantesca fiction
nazionale. Tutti chiusi in casa davanti alla televisione e al computer.
Sotto questo aspetto si puà parlare di “reinvenzione” del
Coronavirus. Ovviamente, anche all’estero, le cose non sono andate meglio, dal momento che da tempo siamo tutti immersi nella semplificazione
politico-digitale.
Il
che, attenzione non significa, che non vi siano stati medici, infermieri,
volontari, eccetera, che si sono sacrificati, ma più semplicemente, vuol dire, che la semplificazione politico-digitale ha bisogno come il pane di buoni e cattivi e soprattutto di eroi e che quindi, come per forza propria, non può non imporli, persino a costo
di falsare la realtà, tramutando un’epidemia stagionale nella peste del Terzo
Millennio. Una fiction però, come insegna la legge di Thomas, dalle
conseguenze reali.
Gli
storici dei prossimi secoli non potranno non interrogarsi sulla “reinvenzione” sociale del Coronavirus, perché di questo si tratta. Di indagare, insomma, l' ondata di follia collettiva che colse l'Italia e il mondo quando correva l’anno 2020…
Carlo Gambescia