Fase 2
Il liberalismo che non c’è
Mai
in passato si era avvertita come oggi la mancanza di una cultura liberale diffusa. Non
parliamo del liberalismo macro-archico, semisocialista, negli Usa definito liberal, che impone i diritti a colpi di decreti e che
evoca società, dove i gruppi (non più gli individui), gelosi dei propri diritti, soprattutto
sociali, pagati dallo Stato, se le danno di santa ragione: abortisti contro non
abortisti, “eutanasisti" contro "non eutanasisti”, gay contro omofobi, femministe contro misogini, eccetera,
eccetera. Questa concezione con il liberalismo non ha nulla a che vedere. E' una fotografia
statale della società suddivisa in gruppi armistiziali, contrapposti: una
società pronta a deflagrare da un momento all’altro.
Invece
di quale cultura liberale parliamo? Quella
che, nonostante il clima mondiale di isteria, ha consentito, come in Svezia e in altri paesi, un approccio soft al Coronavirus fondato non sul potere coercitivo dello stato, ma sul senso di responsabilità dell’individuo. Si
è intervenuti solo con provvedimenti
restrittivi localizzati, lasciando che le persone scegliessero liberalmente da
sole come comportarsi.
L’esatto
contrario di quel che è accaduto in Italia, dove dalla sera alla mattina il governo ha decretato gli arresti domiciliari di sessanta milioni di
cittadini, usando i poteri coercitivi dello stato. In un paese a cultura liberale diffusa ciò non sarebbe stato
possibile. Si veda, ad esempio, la
varietà di reazioni politiche non costrittive, o comunque semicostrittive, negli Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, dove esiste una cultura del rapporto tra stato e governo di tipo liberale.
Il
nostro paese, in pratica, ha sposato il modello totalitario Cinese, estendendolo
in poche ore a tutto il territorio
nazionale. E i cittadini, opportunamente terrorizzati, si sono piegati ai voleri dello stato. Fortunatamente
da noi - per ora - c’è maggiore libertà che in Cina, e gli
anticorpi liberali, benché intossicati, continuano a circolare nel corpaccione statalista dell’Italia,
come provano le reazioni, seppure timide,
alle cosiddette misure della Fase
2.
Però
di quale liberalismo si tratta?
Un
liberalismo, semisocialista, macro-archico, liberal, che continua a ritenere che lo stato sia la soluzione e non il problema.
Invece
di riflettere sull’ennesimo fallimento dello stato su tutto il fronte, da
quello economico a quello epidemico: i
soldi promessi da due mesi nessuno ancora li ha visti; l’epidemia si sta
spegnendo da sola. Invece di riflettere, dicevamo, si tende la mano per ricevere qualcosa: il prete vuole la messa con i fedeli,
i parrucchieri i clienti a numero chiuso, le partite Iva un pugno di euro, gli esercenti le bollette, gli industriali i
finanziamenti pubblici, insegnanti e magistrati andare lo stesso in vacanza, i
poliziotti gli straordinari, i medici e gli scienziati più soldi e più potere.
Tutti,
ripetiamo, tutti, vogliono qualcosa dallo stato, perché lo ritengono onnipotente. Sicché si ragiona inutilmente su come farlo funzionare
meglio, non su come metterlo nella condizione di intervenire il meno possibile
nella vita dei cittadini, insomma di non nuocere, come imporrebbe una autentica
cultura liberale.
E
qui ritorniamo alle misure soft antivirus, al senso di responsabilità, all’importanza
dell’individuo, all’accettazione anche del rischio, in tutti campi, quel
rischio che rappresenta il sale della cultura liberale. Una cultura che quando si è professori implica la ferrea volontà di studiare sempre, accettando il conseguente rischio di rimettersi ogni volta in discussione.
In
Italia, invece, come provano i grandi quotidiani pseudoliberali, dalla “Stampa” a “Repubblica”, dal “Corriere della Sera” al “Sole 24 ore”, l’unica
versione compatibile del liberalismo con la nostra antropologia culturale e sociale è
quella dell' individualismo assistito, perché riconosce allo stato, cosa che piace a
quasi tutti gli italiani, il ruolo di macchina distributrice di diritti e
denari.
Se ci si passa la battuta, l’italiano vuole fare l’ individualista, non a spese proprie ma a spese dello stato. Si vogliono fare i propri comodi, ma con il paracadute pubblico. L'italiano non ama rischiare. O meglio non ama le responsabilità insite in ogni scelta. Responsabilità che non possono non implicare il rischio di non farcela. E allora, pur di non fallire, o non si agisce o si vuole il paracadute. Dello stato.
Ed è questo lo spirito, purtroppo, con cui l’Italia sta affrontandola Fase 2.
Se ci si passa la battuta, l’italiano vuole fare l’ individualista, non a spese proprie ma a spese dello stato. Si vogliono fare i propri comodi, ma con il paracadute pubblico. L'italiano non ama rischiare. O meglio non ama le responsabilità insite in ogni scelta. Responsabilità che non possono non implicare il rischio di non farcela. E allora, pur di non fallire, o non si agisce o si vuole il paracadute. Dello stato.
Ed è questo lo spirito, purtroppo, con cui l’Italia sta affrontando
Carlo Gambescia