Le conseguenze dell' emergenza Coronavirus
Né con Agamben né con Litta Modignani
Invitiamo alla lettura di due articoli interessanti, non di per sé, ma perché indicano due posizioni da evitare dinanzi alla grande questione del controverso rapporto tra poteri pubblici italiani (ma non solo) ed "emergenza" Coronavirus.
Per
Agamben, autore del primo testo, il virus ha messo in luce le debolezze e contraddizioni dell’ Italia e dell' Occidente
moderno e liberale. Per contro, secondo
Litta Modignani, l'epidemia ha evidenziato la forza e prudenza della società aperta. Per Agamben si rischia
un nuovo nazismo, per Litta Modignani, una volta passata l’epidemia, tutto
tornerà come prima, o comunque saremo "liberi di tornare a cercare la felicità"(*).
Semplificando, l’atteggiamento di Agamben è adorniano quello di Litta Modignani deweyano: pessimismo culturale vs pragmatismo liberale. Due atteggiamenti
che però non colgono nel segno. Perché
viziati da una mancanza di approfondimento della dinamica sociologica. In poche parole, non si guarda al ruolo delle
istituzioni, insomma dei poteri pubblici. Ruolo che risponde
a dinamiche profonde che, dal punto di vista delle conseguenze indesiderate o volutamente ignorate dal decisore politico, possono provocare veri e propri terremoti politici, di regola micidiali per le libertà dei singoli cittadini.
Per
capirsi: implementare la legislazione d’urgenza implica sempre
conseguenze sociali importanti, capaci di tramutare la socialità contratto in socialità compulsiva.
Ci
spieghiamo meglio. I decreti sulla
sicurezza e sull’economia comportano inevitabilmente attività sanitarie, di polizia di
assistenza e credito, attività che innescano meccanismi interpersonali tra individui che vivono in segregazione, anche economica, e operatori di polizia, impiegati pubblici e privati, dalla sanità
al credito: soggetti, i secondi, che pretendono, dai primi, deferenza e obbedienza sociale in situazioni-limite. Il che di regola causa l’insorgere, nei primi, di reazioni auto-difensive e
di crescenti conflitti con i secondi, conflitti che rinviano
a ulteriori implementazioni e regolamentazioni pubbliche, rivolte a
provocare nuovi conflitti, come risposta alle misure precedenti, e così via verso una socialità di tipo compulsivo. Il circolo socio-centrico dei conflitti si autoalimenta lungo la
spirale regolamentazione-rifiuto e/o resistenza alla regolamentazione: spirale che al contratto, via colpi e contraccolpi, sostituisce la costrizione.
Ciò significa che l’emergenza Coronavirus, da subito altamente contraddistinta da una notevolissima regolazione politica, rischia di aprire una fase sociale di crescente instabilità. L’accentramento dei poteri pubblici, la chiusura o limitazione dei mercati, il peggioramento della
situazione sociale, l'estendersi di una condizione di sfiducia verso il futuro non possono non causare, come spiega la sociologia storica dei conflitti sociali, crescenti e disastrosi contrasti sociali, dagli esiti compulsivi (in tema si veda il paradigmatico libro sulla Francia di Charles Tilly, La Francia in rivolta, Guida 1990).
Ovviamente,
il Coronavirus (e conseguente emergenza), ha un’intensità polemogena ridotta
rispetto ad esempio ai dopoguerra novecenteschi, saremmo
perciò dinanzi a un evento emergenziale in scala più ridotta, però -
mai dimenticarlo - il meccanismo sfida-risposta sociale, dal punto di vista del potere riproduttivo della mentalità compulsiva, è analogo. Molto, ovviamente, dipenderà dalla capacità di rientro e mediazione della classe politica.
E
qui veniamo a un altro punto. Finora la classe politica italiana (dalla destra alla sinistra, in verità) non ha dato
buona prova, anzi pessima. In primo
luogo, per le modalità di dichiarazione dell’ emergenza, e in secondo luogo,
per le difficoltà - e siamo solo all’inizio - di
uscirne, considerata soprattutto la durezza delle misure prese e i pesanti
effetti ricaduta economica e sociale.
Come
abbiamo già detto, quanto più i poteri pubblici si accentrano tanto più diventa
difficile gestire i conflitti che
insorgono, se non attraverso successivi giri di vite, che rinviano
inevitabilmente alla compattezza dei poteri pubblici come delle forze di resistenza sociale, in un quadro complessivo, comunque la si metta, di tipo compulsivo. Si chiama, come il sociologo sa bene, effetto indesiderato delle azioni sociale. Si vuole il "bene" (la salute pubblica), si ottiene il "male" ( autoritarismo e sommovimenti sociali).
Prudenza perciò impone a una classe politica, degna di tale nome, di sottrarsi a sfide
del genere. Come dire? Inutilmente estreme. Infatti, i conflitti tra lealtà e disobbedienza, se esasperati dalle
pessime condizioni economiche e sociali,
conducono sempre al grado zero della
socialità, al livello compulsivo, della costrizione, cui ricorrono inevitabilmente, una volta scelta la via della forza e del dirigismo, tutte le parti in causa, dal potere costituito al potere costituente. Una condizione pericolosa, perché rappresentata dal confronto diretto, sovente fisico, tra esercito, poliziotti, medici, burocrati da
una parte e cittadini in fibrillazione dall’altra. Insomma se ci si passa l’espressione, prudenza imporrebbe di non tirare mai troppo la corda.
E
qui il giudizio concerneva e concerne la valutazione della gravità dei rischio
Coronavirus, e alle modalità di cui parlavamo. Rischio che per
Agamben non era così evidente, mentre per Litta Modigliani reale.
Chi
scrive -
la cosa è pubblica - la pensa
come Agamben, ma non sposa assolutamente le sue spiegazioni. Che sono quelle del tipico filosofo, o presunto tale, che non vede l'ora di ballare sulle macerie della modernità liberale. Il vero punto era ed è che si doveva essere prudenti - sia Governo che Opposizione - sulle modalità
di dichiarazione dell’emergenza (e della successiva e pesantissima
legislazione d’urgenza), puntando su una strategia morbida, e comunque sia non certo sul modello cinese. Proprio per evitare
di innescare la spirale sociologica, simile a una bomba a orologeria, della crescente compulsione. Dalla quale poi è difficile tornare indietro. E invece Governo e Opposizione hanno giocato al rialzo, rispolverando, i desueti e pericolosi schemi di un patriottismo dolciastro (Governo) o di un nazionalismo quasi duro e puro (l'Opposizione di destra).
Comunque
la pensi Litta Modignani, rischio epidemico e rischio di una involuzione autoritaria come della rivolta sociale, o comunque del peggioramento netto del conflitto sociale, andavano e vanno sempre soppesati politicamente, secondo lo schema del liberalismo archico.
La scelta, per un vero politico liberale, non è mai tra vita e morte, soprattutto in questo caso, anche perché basta conoscere un pochino di storia delle epidemie (si veda il classico lavoro di McNeill) per scoprire che l'uomo, finora, si è mostrato sempre più forte di qualsiasi virus (lo "sterminio della razza umana" lasciamolo alle fiction). La vera scelta è tra vita degna di un uomo libero, secondo contratto, e vita allo stato ferino, secondo compulsione imposta dal conflitto tra potere costituito e costituente. La vera scelta è tra il placido contrattualismo liberale e il totalitarismo ferocemente dirimente da qualunque parte esso provenga, dall' alto, vicino al "potere" o in basso a fianco del "contropotere". L'unico vero rischio, insomma, resta il rischio totalitario.
Riuscirà il Governo Conte a individuare una credibile exit strategy dal vicolo cieco in cui ha "cacciato" l’Italia? Difficile dire. Il populismo, che purtroppo oggi è condiviso da destra e sinistra, implica un approccio schizofrenico alla politica, non alieno, a prescindere dalle scelte del momento, dall'uso della socialità compulsiva, negli Stati Uniti come in Italia, in Polonia, come Ungheria, in Brasile come in Spagna, e così via.
Parliamo di una situazione internazionale molto seria, segnata al momento dalla "preferenza compulsiva", che l'uso politico prolungato, in chiave illiberale (anche quando ci si dichiari "liberali") del Coronavirus, può rendere ancora più grave. Situazione che forse almeno in Italia si poteva "prudentemente" prevedere. Sarebbe bastato, invece di ascoltare - o comunque non solo - i virologi, sentire la parola del sociologo (sia chiaro, non ci riferiamo alla nostra persona).
Ovviamente, pensiamo al sociologo autentico, magari di vecchia scuola, attento alle conseguenze indesiderate delle azioni sociali, comprese quelle ufficialmente rivolte al cosiddetto "bene pubblico". Non certo pensiamo al sociologo-tamburino dello stato sociale oggi così richiesto.
La scelta, per un vero politico liberale, non è mai tra vita e morte, soprattutto in questo caso, anche perché basta conoscere un pochino di storia delle epidemie (si veda il classico lavoro di McNeill) per scoprire che l'uomo, finora, si è mostrato sempre più forte di qualsiasi virus (lo "sterminio della razza umana" lasciamolo alle fiction). La vera scelta è tra vita degna di un uomo libero, secondo contratto, e vita allo stato ferino, secondo compulsione imposta dal conflitto tra potere costituito e costituente. La vera scelta è tra il placido contrattualismo liberale e il totalitarismo ferocemente dirimente da qualunque parte esso provenga, dall' alto, vicino al "potere" o in basso a fianco del "contropotere". L'unico vero rischio, insomma, resta il rischio totalitario.
Riuscirà il Governo Conte a individuare una credibile exit strategy dal vicolo cieco in cui ha "cacciato" l’Italia? Difficile dire. Il populismo, che purtroppo oggi è condiviso da destra e sinistra, implica un approccio schizofrenico alla politica, non alieno, a prescindere dalle scelte del momento, dall'uso della socialità compulsiva, negli Stati Uniti come in Italia, in Polonia, come Ungheria, in Brasile come in Spagna, e così via.
Parliamo di una situazione internazionale molto seria, segnata al momento dalla "preferenza compulsiva", che l'uso politico prolungato, in chiave illiberale (anche quando ci si dichiari "liberali") del Coronavirus, può rendere ancora più grave. Situazione che forse almeno in Italia si poteva "prudentemente" prevedere. Sarebbe bastato, invece di ascoltare - o comunque non solo - i virologi, sentire la parola del sociologo (sia chiaro, non ci riferiamo alla nostra persona).
Ovviamente, pensiamo al sociologo autentico, magari di vecchia scuola, attento alle conseguenze indesiderate delle azioni sociali, comprese quelle ufficialmente rivolte al cosiddetto "bene pubblico". Non certo pensiamo al sociologo-tamburino dello stato sociale oggi così richiesto.
Ma
questa è un’altra storia.
Carlo Gambescia