domenica 19 aprile 2020

Ricordo intellettuale
di Fabio Brotto

Oggi desidero parlare  della mia  “amicizia” con il  professor Fabio Brotto e del suo significato. Nulla di definitivo, impressioni a caldo dettate dalla sua improvvisa scomparsa.
Un’amicizia particolare perché non ci siamo mai  conosciuti di persona, neppure “telefonicamente”, come con altri. Un'amicizia intellettuale coltivata a lungo per circa quindici anni, prima come reciproci frequentatori dei rispettivi blog, poi negli  ultimi sei anni sulle nostre pagine  Facebook.
Ricordo che il suo blog  mi fu segnalato, forse nel 2006-2007, da un bravissimo e sanguigno  scrittore,  Valter Binaghi, scomparso prematuramente nel 2013. 
Di Brotto mi colpirono subito due cose: le letture sterminate e la capacità di argomentazione, nonché una terza dote, caratteriale, che non guasta mai, l’umiltà cognitiva, spontanea e perciò fonte di mitezza. Rammento che nel 2007-2008, al mio invito a partecipare al battesimo di un  blog collettivo, egli rispose che  non si sentiva portato per avventure del genere  a causa del suo ipercriticismo, anche verso se stesso…  Su ogni argomento, egli  aggiunse,  “individuerei le posizioni pro e contro, con il rischio di una critica autodissolvente dal punto di vista della comunità” (più o meno queste le sue parole).
Però Fabio Brotto non era un relativista (e tanto meno un nichilista): egli  credeva, nonostante tutto,  nell’ uomo (questa in fondo la sua “religione”), nonché  nelle capacità di auto-organizzazione e organizzazione degli esseri umani,  rifiutando però   millenarismi e ricadute demagogiche.
Per scendere sul piano politico, credo Brotto temesse  ogni forma di totalitarismo, fascista, comunista e… mercatista.   Di qui  il suo apprezzamento della democrazia liberale,  però con abbondanti correttivi sociali di natura pubblica.  
Cosa quest’ultima, che come sociologo, consapevole della necessaria natura imprevedibile e spontanea del sociale,  non condividevo e condivido.   Tuttavia -  e  finalmente vengo a ciò che ha rappresentato per me l'amicizia di Fabio Brotto -  le sue argomentazioni, ovviamente di segno contrario, mi  spingevano e spingono a mettere in discussione le mie idee,  forse troppo empiriste  sul sociale.  
Il richiamo di Brotto a non perdere di vista nell’analisi sociale la presenza, talvolta nascosta,  di   alcuni archetipi  (in primis di tipo girardiano),  costituisce tuttora  per me un monito intellettuale, quindi un’ eredità preziosa.  Al di là delle regolarità sociologiche e politologiche (metapolitiche), mio cavallo di battaglia  cognitivo, esistono  - ecco  la lezione di Brotto -   modelli filosofici e comportamentali, trans-storici,  come ad esempio  l’ “archetipo” antropologico  reinventato da René Girard, del "capro espiatorio":  un  vero e proprio fattore, quest'ultimo,  maieutico e ciclico, che ci ricorda che nel  divenire sociale, nonostante il progresso tecnologico, sono insiti,  nel bene come nel male,  limiti di natura antropologico-sociale.  Limiti  che   dettano all'uomo,  quasi in termini stoici (ma, crediamo, persino di filosofie orientali, di varia estrazione), un percorso contraddistinto da nascite e rinascite,  progressi e cadute, glorie e miserie.
Al di là di questa preziosa lezione antropologica, di Brotto   apprezzo  il romanziere  (inedito), con notevoli capacità volterriane di osservazione e introspezione, doti quest’ultime che invece ricordano l’ironica  pagina sveviana. Nonché il poeta byroniano (pubblico e multilingue) su Facebook, che eroicamente, ma  non senza   nostalgia, affronta con coraggio quel che di decadente scorge  nei nostri tempi.
Un intellettuale, Brotto, sospeso tra illuminismo e romanticismo, tra consapevolezza della forza della ragione (di qui il suo umanesimo critico e  riformista) e nostalgia di un mondo pre-girardiano (che forse non è mai esistito). Una specie di dialettica cognitiva che  spiega  la sua  ricerca, pur schermata-schernita, di un “centro” cognitivo, che egli attribuiva, come necessario,  persino alla società:   ricerca che ha distinto il suo intero cammino intellettuale  
Naturalmente, le mie, ripeto,  sono solo impressioni, per così dire letterarie, che  non ho avuto modo  di esplicitare a Brotto, come dicevo, di  persona.  E perciò discuterne con lui,  magari davanti a un calice di buon vino.  E questo è un mio rammarico.


Carlo Gambescia