Ricordo intellettuale
di Fabio Brotto
Oggi
desidero parlare della mia “amicizia” con il professor Fabio Brotto e del suo significato. Nulla
di definitivo, impressioni a caldo dettate dalla sua improvvisa scomparsa.
Un’amicizia particolare perché non ci siamo mai conosciuti di persona, neppure “telefonicamente”, come con altri. Un'amicizia intellettuale coltivata a lungo
per circa quindici anni, prima come reciproci frequentatori dei rispettivi
blog, poi negli ultimi sei anni sulle
nostre pagine Facebook.
Ricordo
che il suo blog mi fu segnalato, forse
nel 2006-2007, da un bravissimo e sanguigno
scrittore, Valter Binaghi, scomparso prematuramente nel 2013.
Di
Brotto mi colpirono subito due cose: le letture sterminate e la capacità di
argomentazione, nonché una terza dote, caratteriale, che non guasta mai, l’umiltà cognitiva, spontanea e perciò fonte di mitezza. Rammento che nel 2007-2008, al mio
invito a partecipare al battesimo di un blog collettivo, egli rispose che non si sentiva portato per avventure del genere a causa del suo ipercriticismo, anche verso se stesso… Su ogni argomento, egli aggiunse,
“individuerei le posizioni pro e contro, con il rischio di una critica autodissolvente
dal punto di vista della comunità” (più o meno queste le sue parole).
Però
Fabio Brotto non era un relativista (e tanto meno un nichilista): egli credeva, nonostante tutto, nell’ uomo (questa in fondo la sua “religione”),
nonché nelle capacità di auto-organizzazione
e organizzazione degli esseri umani, rifiutando però millenarismi e ricadute demagogiche.
Per
scendere sul piano politico, credo Brotto temesse ogni forma di totalitarismo, fascista,
comunista e… mercatista. Di qui il suo apprezzamento della democrazia
liberale, però con abbondanti correttivi
sociali di natura pubblica.
Cosa
quest’ultima, che come sociologo, consapevole della necessaria natura
imprevedibile e spontanea del sociale,
non condividevo e condivido. Tuttavia -
e finalmente vengo a ciò che ha
rappresentato per me l'amicizia di Fabio Brotto - le sue argomentazioni, ovviamente di segno
contrario, mi spingevano e spingono a
mettere in discussione le mie idee,
forse troppo empiriste sul
sociale.
Il
richiamo di Brotto a non perdere di vista nell’analisi sociale la presenza,
talvolta nascosta, di alcuni archetipi (in
primis di tipo girardiano), costituisce tuttora per me un monito intellettuale, quindi un’
eredità preziosa. Al di là delle
regolarità sociologiche e politologiche (metapolitiche), mio cavallo di battaglia cognitivo, esistono - ecco
la lezione di Brotto - modelli filosofici e comportamentali,
trans-storici, come ad esempio l’ “archetipo” antropologico reinventato da René Girard, del "capro
espiatorio": un vero e proprio fattore, quest'ultimo, maieutico e ciclico, che ci ricorda che nel divenire sociale, nonostante il progresso tecnologico, sono insiti, nel bene come nel male, limiti di natura antropologico-sociale. Limiti che dettano all'uomo, quasi in termini stoici (ma, crediamo, persino di filosofie orientali, di varia estrazione), un percorso contraddistinto da nascite e rinascite, progressi e cadute, glorie e miserie.
Al
di là di questa preziosa lezione antropologica, di Brotto apprezzo il romanziere
(inedito), con notevoli capacità volterriane di osservazione e introspezione,
doti quest’ultime che invece ricordano l’ironica pagina sveviana. Nonché il poeta byroniano (pubblico e multilingue)
su Facebook, che eroicamente, ma non
senza nostalgia, affronta con coraggio quel che di decadente scorge nei nostri tempi.
Un
intellettuale, Brotto, sospeso tra illuminismo e romanticismo, tra consapevolezza
della forza della ragione (di qui il suo umanesimo critico e riformista) e nostalgia di un mondo pre-girardiano
(che forse non è mai esistito). Una specie di dialettica cognitiva che spiega la sua ricerca, pur schermata-schernita, di un “centro”
cognitivo, che egli attribuiva, come necessario, persino alla società: ricerca che ha distinto il suo intero cammino intellettuale
Naturalmente,
le mie, ripeto, sono solo impressioni,
per così dire letterarie, che non ho
avuto modo di esplicitare a Brotto, come
dicevo, di persona. E perciò discuterne con lui, magari davanti a un calice di buon vino. E questo è un mio rammarico.
Carlo Gambescia