Il 25 aprile e gli italiani
Chiedere
ai fascisti di celebrare il 25 aprile è come chiedere ai soldati di Napoleone di festeggiare
Waterloo. Non si può chiedere agli sconfitti di
celebrare una sconfitta. Come non si può chiedere ai vincitori di non
celebrare un vittoria. Però, ecco, sorge allora una domanda: chi vinse chi il 25 aprile? Sicuramente vinse
l’antifascismo e perse il fascismo. E giustamente. Ma l’antifascismo era un valore, già
all’epoca, “sentito” da tutti gli
italiani?
Diciamo
subito, che le masse, si distaccarono dal fascismo durante la guerra. Un immane
conflitto che venne “sentito” dagli italiani, dal popolo insomma, soprattutto come guerra fascista. E di
conseguenza, una volta che le cose si misero male, con riflessi dolorosissimi (soldati caduti, razionamenti e fame, bombardamenti alleati, occupazione tedesca e nazista, guerra civile), il fascismo che aveva imposto e dichiarato la guerra ne pagò le conseguenze ultime.
Sotto questo profilo, l’antifascismo, per il popolo fu una specie di appendice rabbiosa e
disperata, che innervò, soprattutto durante la guerra civile, la lunga attesa dell' enorme "area grigia" (De Felice), maggioritaria, costituita dagli italiani che rimasero trepidanti alla finestra in attesa che tutto finisse quanto prima .
Durante il Ventennio, avanti la guerra, la gente comune, e i rapporti dei prefetti sono lì a testimoniarlo, apprezzava,
semplificando (per capirsi insomma), i treni in orario, l’ordine e la normalità. La rinuncia alla libertà
feriva, ma non più di tanto, neppure le
élite colte. Come provano la larga adesione al giuramento dei professori universitari e gli
applausi del gruppo di storici della volpiana Scuola romana in occasione della Proclamazione dell’Impero, anno
di grazia 1936, in
quel di Piazza Venezia. Poi divenuti quasi tutti rigorosi antifascisti.
Il
fascismo, prima dell’involuzione totalitaria, legata all’alleanza hitleriana e
alla guerra, usò verso gli
intellettuali, ovviamente se spoliticizzati (almeno in pubblico), un occhio di
riguardo. L’importante magistero morale e intellettuale di
Croce è lì a provarlo. Ovviamente il fascismo era una dittatura che colpì con durezza gli avversari politici, e non
importa se professori o meno. L’assassinio dei fratelli Rosselli ne resta forse la prova più atroce.
Probabilmente,
se Mussolini, come Franco, non fosse
sceso in campo, il fascismo avrebbe seguito la sorte del franchismo spagnolo,
spegnendosi lentamente in un lungo diluito e accidioso dopoguerra. Mussolini
come Franco sarebbe morto di vecchiaia in pigiama e il fascismo si sarebbe
decomposto lentamente, dividendosi in fazioni cattoliche, mussoliniane,
monarchiche, conservatrici e progressiste. Anche la stessa Monarchia non sarebbe caduta. La permanenza
al potere dei Savoia nel dopoguerra
europeo avrebbe addirittura influito, forse in chiave illuminata, sulla cosiddetta diarchia politica, messa
probabilmente a rischio negli anni Cinquanta da un re giovane, più dinamico e “democratico”, come Umberto II. Senza dimenticare l’inevitabile processo di
modernizzazione sociale ed economica
che, come per la Spagna ,
avrebbe abbracciato anche l’Italia, mutando costumi e abitudini.
Insomma,
le masse, senza guerra, non avrebbero voltato le spalle al fascismo, almeno non
subito, o comunque fino agli anni Sessanta, quando Mussolini, classe 1883,
avrebbe avuto quasi ottant’anni.
Il
popolo italiano fu prima fascista poi antifascista per non belle (eticamente belle...) ragioni di quieto vivere. Tiepidamente.
Purtroppo, l’uomo - diciamo l’uomo medio - alla libertà preferisce sempre la sicurezza.
E del fascismo, ancora oggi, si ricordano le misure sociali, quasi con piacere,
dimenticando - o facendo finta di dimenticare - la grave perdita di libertà.
Diciamo
allora che il 25 aprile, se per i
fascisti resta una brutta pagina e per gli antifascisti rappresenta giustamente
il ritorno della libertà, per gli
italiani, sul piano della conoscenza
collettiva, quindi di ciò che è trasmesso per generazioni, non è che lo specchio deformato di una cattiva
coscienza, che assolvendo il fascismo, o comunque minimizzando, prova ad assolvere se stessa. Specchio, insomma, dentro
il quale l’italiano, come popolo, non vuole guardare. E di certo, non fino in fondo.
Il
che però spiega l’inevitabile carattere elitario che continua ad assumere la
celebrazione del 25 aprile.
Purtroppo,
mai chiedere ai popoli ciò che non
possono dare. Sia come fascisti, sia come antifascisti.
Carlo Gambescia