giovedì 16 aprile 2020

Piero Visani,  un  liberale mancato?

Mi ha colpito, però fino a un certo punto,  l’ afflusso,  sulla  Pagina Fb dell’amico Visani, di così tante persone. Lettori che evidentemente apprezzavano la serietà del polemologo e dello storico militare, scomparso domenica scorsa. Altra prova, mi sono detto,  che intelligenza e cultura  non hanno confini.  E soprattutto che non dipendono da cattedre  non sempre meritate.  
Ho invece constatato, per ora, il silenzio, con poche eccezioni, dei non pochi che lo conobbero e frequentarono proprio negli anni fondativi della Nuova Destra.  Quando, semplificando, alcuni giovani intellettuali missini (non tutti), alcuni di ascendenza rautiana,  si cimentarono -  riprendendo intuizioni debenoistiane  -  con l’immaginario sociologico della sinistra.  La scommessa  era quella dell’ apertura alle moderne  scienze sociali,  per  conquistare, una volta impadronitisi degli strumenti,  un’egemonia culturale capace di cambiare dall’interno prima il Movimento Sociale, poi la cultura, infine la politica e la società italiane.  Un progetto prometeico, ma non privo di intendimenti seri, soprattutto in un ambiente politico, come quello missino e postmissino, tuttora diviso sul primato dell'azione rispetto alla teoria.
Visani, che ha insistito, fino a pochi giorni dalla morte,  sull'importanza  del  lavoro metapolitico (culturale),  all’epoca - è agli atti - partecipò con interesse alle iniziative, e per alcuni anni.  Dopo di che, grosso modo nella seconda metà degli anni Ottanta (forse prima, forse dopo), Visani  riprese  il suo solitario cammino, probabilmente per ragioni di carattere,  natura esistenziale  e  professionale. Che qui è inutile indagare. Ragioni, soprattutto, avanzo un'ipotesi,  di dirittura.  Che forse spiegano il silenzio  di alcuni protagonisti di quella stagione in occasione della sua scomparsa,  evidentemente, carni assai deboli.   

Il ricordo che ho di Visani, persona  che  ripresi  a "frequentare" ( e conoscere meglio)  proprio sulle pagine di Fb,  resta quello di un intellettuale  rigoroso, formatosi a una severa  tradizione torinese di storici militari ( certo,  tutti azionisti, ma preparatissimi):  un uomo dal temperamento aristocratico, lontano anni luce dal plebeismo della destra neofascista e populista, ma -  nessuno è perfetto -  non immune da  una sua idea negativa dell’Occidente.  Un mondo, al tramonto,  così egli scriveva per ogni dove, sempre  con il  consueto rigore. Una "decadenza"   analizzata  attraverso la fosca  lente d’ingrandimento del rifiuto - condivisibile però -  di  un  liberalismo dominante, molliccio e dolciastro,  un “pensiero unico”    statalista, intrusivo, welfarista, fiscalista,  che proclama di sapere ciò che è bene per ogni singolo cittadino, tradendo così l’essenza stessa del liberalismo.   
Questo tradimento finale  probabilmente sfuggiva a  Visani. Però il suo rigoroso   antistatalismo -  anche legato, come ho letto in questi giorni, a questioni personali  -   era ed è  un elemento importante del suo pensiero. Innanzitutto, perché dettato non dall’impoliticità, ma al contrario dalla puntualissima discriminazione concettuale tra politico e stato: tra ciò che resta e ciò che passa, tra il politico,  come regolarità  metapolitica,  fondata sulla distinzione amico-nemico,  e lo stato, quale  incarnazione storica, quindi realtà transeunte, del politico.
Cosa voglio dire? Che Visani, proprio grazie alla sua  formazione  (severissima) e al carattere (selettivo) avrebbe  sicuramente apprezzato ciò  che  altrove ho definito  visione archica del liberalismo (contrapposta alla concezione macro-archica del liberalismo statalista).  Con questo termine  - archico -    indico  un approccio  realista, aristocratico, politico al liberalismo, se si vuole una visione prudenziale, attenta  al confronto intellettuale (quindi non "pensiero unico"). Insomma, un approccio  non riduttivo  di questo o quell’aspetto dell’’agire umano, ma attento alle leggi del politico. Un liberalismo tipico di figure come Burke, Tocqueville, Pareto, Mosca, Ferrero, Croce, Weber, Ortega, Röpke, De Jouvenel, Aron, Freund,  Berlin. 
Una volta dialogando con Piero Visani, credo proprio su Fb, forse in privato, gli chiesi bruscamente  se aveva letto questi autori, o almeno alcuni di essi. Candidamente  - credo questa fosse un’altra dote caratteriale -  mi ripose di  no. Ma che lo avrebbe fatto o almeno tentato.      
Forse la sua fu risposta di cortesia… O più  verosimilmente -  ritengo -  uno spontaneo atto di umiltà, degno di uno studioso serio, vero, preparato con  un suo metodo di lavoro e di lettura.  Un atteggiamento, diciamo,  forzando un po’ le cose,   da liberale “archico”, attento al politico ma anche al confronto, se rigorosamente inteso.  Quasi da  liberale mancato...         


Carlo Gambescia                      

                

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