Riflessioni
Psicologia, sociologia e storia dello statalismo
Che
cos’ è lo statalismo? Chi è statalista?
Come individuare le caratteristiche dello statalista tipo? Quali sono le forze sociali e politiche stataliste? Qual è la sua
storia? Qual è la sua sociologia?
Innanzitutto,
statalismo significa ritenere che le competenze
dello stato debbano estese a tutti i campi della vita sociale, dall’economia
alla morale, dalla religione alla cultura, perché, come si legge spesso, solo lo stato avrebbe le risorse e le capacità
prospettiche per intervenire e risolvere
qualunque problema.
Pertanto
lo statalista è colui che crede nel ruolo dirimente dell’intervento statale. Le
caratteristiche principali dello statalismo sono rappresentate dalla riduzione
progressiva, fino alla soppressione, delle libertà individuali. Le forze
politiche che nel mondo attuale
difendono lo statalismo, vanno dal “democristianismo” al liberalsocialismo, ai
rottami dei socialcomunismo, del fascismo e nazionalsocialismo, per finire
con l’ecologismo e l’ambientalismo. Senza però dimenticare che appartengono alla famiglia statalista anche populisti e sovranisti, tutti nervosamente dalla parte dello stato.
Quanto
più la società è regolamentata tanto più la forza dello statalismo tende a
soverchiare la libertà individuale. Di
regola, il punto di equilibrio reale tra regolamentazione e libertà è di natura storica. Tuttavia,
storicamente parlando, mentre non si
sono mai avute società totalmente prive di regole, soprattutto scritte ( se non
agli albori della storia), sono invece esistite
società totalmente regolamentate: dalle monarchie idrauliche orientali (
e medio-orientali) ai grandi imperi dell’Occidente, dallo stato assoluto allo
stato totalitario del Ventesimo secolo.
La
regola storica è la regolamentazione ( si scusi il bisticcio di parole). E per secoli, proprio a causa della
regolamentazione, i progressi economici e sociali sono stati limitatissimi. E
ciò perché la regolamentazione ha natura politica e rinvia al rafforzamento del
potere delle élite governanti. Consolidamento che viene rappresentato, dalle
stesse élite, come necessario per
perseguire il bene comune. E così è avvenuto per migliaia di anni attraverso guerre e
conquiste manu militari. Il modo più semplice per redistribuire: massacrare e rubare agli altri popoli, per dare al proprio.
L’idea
di deregolamentazione ha pochi secoli di vita e si sposa, non a caso, con
una visione non polemogena del
potere, visione sorta dopo le guerre di
religione, quando si riconobbe all’individuo la libertà di fede. Dall’idea di
tolleranza religiosa sono discese tutte
le successive libertà politiche, economiche e sociali. Un fenomeno che in seguito - e attenzione in assenza di
qualsiasi teorizzazione dall’alto - si è denominato liberalismo. Un esperimento
ancora in corso, accettato (ma non da
tutti), perché ritenuto migliore, dal punto di vista evolutivo e funzionale, di
altri sistemi storici. Per ora, ovviamente.
Lo
statalismo, che viene da lontano, sorta di archetipo antropologico-sociale, rappresenta
una minaccia costante e ricorrente che
nelle nostre società, una volta battuti i totalitarismi nazista e comunista, si va profilando sotto varie forme, molto pericolose: del welfare state, del
fiscalismo, dell’ecologismo, del
militarismo, del nazionalismo; tutte dottrine che dichiarano a priori (a
differenza del liberalismo che si rimette alle scelte individuali) di sapere a menadito ciò che sia bene per
l’individuo: “l’obbligo di una salute di
ferro”, “l’eguaglianza delle fortune”,
“un pianeta incontaminato” “l’onore militare”, “la razza e l’identità, “la
fede in un dio che è più dio di qualsiasi altro dio”.
A
questo punto ci si potrebbe chiedere come funzionano le società, storicamente
parlando. Secondo i principi statalisti o individualistico-liberali? Un passo indietro. La sociologia insegna che gli
individui interagiscono e perseguono i propri interessi senza avere alcuna visione generale. Tuttavia alcuni individui più forti,
tendono a imporre i propri interessi su quelli altrui, aggregando altri
individui, promettendo in ricompensa la redistribuzione di risorse materiali e culturali. La redistribuzione implica però strutture redistributive, che per
migliaia di anni sono state rappresentate e monopolizzate dallo stato. Negli ultimi
secoli, senza alcun disegno
precostituito, si è scoperto( quindi dopo) che la redistribuzione attraverso il mercato (vera miniera d'oro per
migliaia di anni inesplorata) funziona meglio della redistribuzione attraverso conquiste e guerre.
Lo
scambio tra privati, in precedenza giudicato un’area
marginale della vita sociale, si è così ritrovato spontaneamente al centro dell’universo sociale.
Questa centralità ha consentito (ripetiamo, dopo la formazione del libero mercato, quindi ex post) di scoprire il valore della libertà individuale. Quella stessa libertà, che pur
essendo un importante fattore sociale (magari elogiato in passato da qualche solitario poeta per eccentrici) il dominante pensiero
statalista giudicava pericolosa.
La
modernità liberale e individualista, che ha tre o quattro secoli al massimo, si trova
perciò dinanzi un pericoloso avversario, lo statalismo, che ha dalla sua un potente fattore
antropologico-sociale.
Certo,
la sociologia insegna che l’individualismo
è un fattore sociale importante, reale. Ma asserisce pure che l’individualismo sta vivendo la sua infanzia, forse adolescenza. Di qui, se ci
si passa la metafora, quel suo piegarsi, talvolta riottoso, a forme
di individualismo protetto, paternalistico, ben rappresentate dal welfare
state. Uno statalismo dolciastro ma non meno pericoloso di quello duro e puro.
Concludendo, sebbene la terminologia non sia di nostro gradimento, la "guerra" antistatalista dell'individuo è ai suoi inizi. Perdere qualche battaglia - basti vedere ciò che sta accadendo in questi giorni - non si significa perdere la "guerra". Ce n'est qu' un debut, continuons le combat. Coraggio amici liberali!
Carlo Gambescia