Il Coronavirus, la società e l’albero di
Natale…
Non spegnete le “lucine”
Una "lezioncina" di sociologia
Il
Coronavirus può essere l’occasione per
una “lezioncina” di sociologia sul funzionamento delle società.
In
tempi normali ( nell’ assenza di emergenze di ogni tipo: guerre, rivoluzioni,
calamità naturali, epidemie) ad esclusione dei regimi politici dittatoriali,
gli individui trascorrono la propria vita
secondo schemi abitudinari, che mutano
storicamente. La libertà degli
antichi era profondamente diversa da
quelli dei moderni. Per non parlare di epoche, come il medioevo, dove la libertà stessa veniva considerata un
privilegio, legata al ceto di appartenenza.
Poesia
e prosa
Diciamo
che l’idea di libertà, nelle sue diverse articolazioni, storicamente e
sociologicamente parlando, rappresenta la poesia sociale, mentre
l’organizzazione sociale, la prosa. Sotto questo aspetto l’intera storia umana - la prosa - potrebbe essere ricondotta a una
lunga sequenza di forme organizzative, spontanee e coercitive. Di qui lo scontro tra poesia e prosa.
Naturalmente
del conflitto, la
gente comune - l’uomo medio dei sociologi
- nei tempi normali non si accorge
affatto: le società si sviluppano per
vie naturali, non conoscono fini generali, gli uomini vivono perseguendo i
propri interessi, condividendo abitudini, lentamente condivise (che nascono da interessi che danno ottima prova evolutiva), e
di conseguenza accettano o rifiutano i
limiti imposti dagli interessi organizzati: l’altro aspetto coercitivo della
prosa sociale. Come il "borghese gentiluomo" di Molière, gli uomini parlano in prosa senza saperlo.
Le
lucine dell’albero di Natale
Il termine interesse ha qui il valore neutro di finalità, scopo, motivo
per l’azione. E gli interessi sono sempre individuali ed è difficile prevedere
dove condurrà la sommatoria (se di
sommatoria si tratta) degli interessi individuali. L’eterogenesi dei fini (si
vuole una cosa se ne ottiene un’altra) è una verità sociologica, che si vendica sempre della cosiddetta ipotesi
costruttivista che crede, come molti poeti sociali, nella possibilità di costruire le società dall’alto
secondo un’ipotesi di bene comune, imposta sempre dall’alto. In nome dunque della poesia…
Sulla
società, quale dinamica degli interessi individuali, l’ "emergenza", che porta sempre con sé interventi dall'alto, può provocare, secondo una scansione scalare, prima un rallentamento, poi un cedimento,
infine lo spegnimento del libero agire individuale: si pensi a un
alberello di Natale dalle molteplici lucine sociali, rappresentate dagli interessi
individuali: lucine che, una volta spentesi tutte, lasciano spazio a uomini che procedono a tentoni, tesi solo
sopravvivere. E per sopravvivere,
interesse primario e fondamentale, l’uomo è disposto a tutto, anche a farsi
schiavizzare. In argomento il mito platonico della caverna
resta un esempio sociologico fondamentale: alle lucine dell’albero di Natale si sostituiscono
le ombre…
Sul
bene comune
Un' "emergenza" come il Coronavirus (o meglio la risposta dello stato al Coronavirus, come massima
aggregazione di interessi coercitivi e burocratici) sta spegnendo
a una a una, le “lucine”. Si dice per il bene comune. Ma il bene
comune, se ne esiste uno, è proprio nel lasciare che le società si sviluppino
spontaneamente trovando, senza perseguirlo direttamente, il proprio
equilibrio storico e sociale, grazie
al libero perseguimento degli interessi individuali. Bisogna lasciare spazio
alla prosa dello spontaneismo sociale, ossia all’individuo libero di perseguire i propri interessi. Si tratta di una realtà comprovata: nessuno mai si è seduto a tavolino e progettato l’Impero romano, il feudalismo, il
capitalismo. Solo per fare tre esempi classici.
Però,
un’epidemia, come si sente ripetere in questi giorni, può cancellare la società,
colpendo gli individui e riducendo quindi a un
valore pari a zero la possibilità
di trovare un equilibrio storico e
sociale… Il che può essere vero, però è altrettanto
vero, che i meccanismi di autodifesa istituzionale possono per un verso salvare
l’individuo, ma per l’altro ridurlo in stato di schiavitù. E anche questa è
prosa, nel senso che sono cose, che possono piacere o meno, ma che regolarmente accadono. Tuttavia si
tratta di prosa pericolosa, perché imbevuta
di poesia sociale, che non bada agli effetti perversi delle azioni sociali imposte dall'altro. Tradotto: si vuole il bene si consegue il male.
“Tempi
bui”
Di
solito si dice pure che si tratta di
schiavitù temporanea per il bene dell’uomo. E qui purtroppo, come anticipato, si entra nello scivoloso campo della “poesia”, dell’ideologia giustificativa
dell’ autodifesa istituzionale, in questo caso della macro-istituzione
rappresentata dallo stato che oppone all’equilibrio naturale degli interessi (la
prosa spontanea), l’equilibrio artificiale, (la prosa coercitiva), impregnata
però di poesia, declamata dalla massima tra le macro-istituzioni: lo stato
costruttivista. Che, ufficialmente, come ogni poeta vive di arte e di amore, mentre
in realtà, oltre un certo limite, difficile da accertare, con il suo agire, incatena l’uomo ai
ceppi della famigerata caverna platonica.
Concludendo,
una volta spente le lucine dell’albero, sopravviene il buio, per anni, decenni,
secoli. Come si intuisce non è possibile quantificare la durata dei “tempi bui”.
Certo, come già avvenuto si possono
sempre declamare ai popoli poesie, magari
per secoli…
Carlo Gambescia