Coronavirus e “ordine pubblico”
Italia in rivolta?
Per ora, no
Oggi la stampa italiana, (non solo "Libero"), alzando troppo il tiro, ipotizza rivolte sociali. Sul piano delle ipotesi sociologiche e
politologiche, ovviamente, nulla può essere escluso. Però al momento non crediamo
possibile alcuna voice (protesta*)
generalizzata.
Segnaliamo
qui di seguito le variabili che sconsigliano, ripetiamo per ora, di
ritenere imminente uno dei fenomeni politici, come vedremo, meno inquadrabili sotto il profilo delle previsioni: la rivolta sociale.
Le
persone sono costrette tra le mura domestiche; minacciate e
blandite al tempo stesso mediante una fortissima pressione mediatica; il consenso nei riguardi del Governo (e per
Giuseppe Conte) resta altissimo ( i sondaggi parlano di un
gradimento al settanta per cento); i rifornimenti di cibo sono costanti; il
Governo ha varato un serie di importanti misure assistenziali. La lealtà (loyalty) per ora sembra garantita.
Inoltre,
cosa più importante, a differenza della
casistica classica delle rivolte (parlare per ora di rivoluzione, exit, sarebbe
ridicolo), manca, al momento, un elemento
fondamentale: quello della possibilità organizzativa di appropriazione fisica e del successivo controllo dei luoghi tipici della rivolta (piazze, strade, sedi del potere, anche di polizia, incluse le caserme, distaccate e centrali, infine radio e televisione, specialmente se pubbliche). È certamente
vero che i Social hanno un potere
mobilitante, ma oltre al fatto che
sembrano molto divisi sulla questione
del consenso politico, una rivolta non è un flash mob pacifico. Si rifletta su un punto non secondario: il profilo
psico-sociale del ribelle ( o del rivoltoso) implica automaticamente l’accettazione del rischio della vita e del carcere. Di regola, quanto più un sistema di controllo
riesce a essere “persuasivo” ( o sembrare tale), tanto più diminuisce il numero del soggetti a
rischio voice.
La
società è conservatrice per eccellenza, di conseguenza
nei suoi membri tende sempre a prevalere la loyalty
(lealtà) verso il sistema, identificato con le proprie
- individuali - garanzie di vita,
normalità e successo. Soprattutto nelle società di ceti medi come le nostre.
Naturalmente,
quando e se la scelta nel soggetto a
rischio (il possibile rivoltoso) si riduce alla pura opzione biopolitica radicale
tra vita e morte (nel caso: morte per fame o di Coronavirus) le possibilità
di voice crescono (ma come poi vedremo
non sono esclusi altri tipi di risposta): non dominano più il ragionamento e il calcolo costi-benefici, ma prevale l’istinto di autoconservazione, che può
assumere l’aspetto del movimento collettivo di massa, organizzato o meno: la voice allora si trasforma in exit, (in uscita dal
sistema) che, in alcuni casi, rimanda alle prove tecniche di rivoluzione: tecniche nel senso che le rivoluzioni, dal lato della domanda politica, rinviano al
coagulo organizzato di rivolte
successive e permanenti, sempre più unificate politicamente, mentre da quello dell’offerta politica la rivoluzione rimanda
al tracollo delle istituzioni e al conseguente passaggio di figure chiave politiche del governo (e dei quadri dipendenti) nelle fila dei rivoluzionari. Una rivoluzione impone sempre una progressiva crisi del lealismo. Della loyalty.
Come
si può intuire, per l’Italia, al momento non si può parlare né di rivolta
generalizzata (voice), né tantomeno di rivoluzione (exit). Ovviamente, quanto più le variabili ricordate all'inizio vengono meno, tanto più aumentano le
possibilità di voice. Purtroppo la capacità di resistenza delle
persone alla costrizione fisica, come
quella imposta dalle misure antiCoronavirus, non è misurabile, né esistono
precedenti di un tale livello di segregazione, se non di natura bellica, che però risalgono alla Seconda Guerra Mondiale, precedenti che sembrano - attenzione: sembrano - deporre a favore di un
notevole spirito di resilienza delle popolazioni.
Come
dicevamo, se e quando la scelta si fa radicale, tra vita e morte, e di conseguenza il comportamento degli
individui si fa auto-conservativo, viene
meno la possibilità previsionale dello scienziato sociale, perché
l’istinto di autoconservazione, non rimandando al calcolo costi-benefici, ma a
scelte passionali, non razionali (o se razionali, rispetto a passioni
immisurabili scientificamente), può sfociare sia in un atteggiamento di loyalty, sia di voice, sia (se ci sono le condizioni politiche) di exit.
Tutti comportamenti difficili da prevedere, perché in linea teorica tutti compatibili con la reazione auto-conservativa.
Detto ciò, il lettore prenda però appunto di queste due parole: per ora.
Carlo Gambescia
(*)
Loyalty, Exit, Voice. Riprendiamo e sviluppiamo le tesi
di A.O, Hirschman, Lealtà Defezione Protesta. Rimedi alla crisi
delle imprese dei partiti e dello stato, Bompiani 1982.