Cosa ci aspetta dopo il Coronavirus?
C’ è un brutto passato nel nostro futuro
Quando e come si riprenderà l'Italia da questa overdose di assistenzialismo e autoritarismo? Bella
domanda. Alla quale è difficile, se non
impossibile rispondere. Parliamo di un Paese, storicamente distinto da piagnoni,
mendicanti, avventurieri (anzi “condottieri”), con qualche colpo di genio,
qualche eccellenza, ma privo di spina dorsale economica, spina dorsale
liberale. Mai veramente approdato alla modernità. Forse alla post-modernità, ma
senza passare per la prima.
In fondo, il problema non è il Coronavirus. E
allora qual è?
Diciamo
subito che siamo al cospetto della prima epidemia populista-digitale della
storia (saremmo tentati di dire
dell’intera storia umana), che ha visto un governo, di nuovo conio, presieduto
(per autodefinizione) da un “Avvocato
del Popolo italiano”, trasformare un’epidemia stagionale, forse lievemente più
forte del solito (i conti si faranno alla fine) in una pandemia psico-politica
dalle devastanti conseguenze economiche e sociali. L’Italia populista sì è
addirittura proposta, grazie alla pericolosa drasticità
delle misure adottate, come apripista europeo: una specie di modello
occidentale, dopo la Cina. Un'Italia, abilissima nel segregare l' "amato" popolo pur di salvarlo "tutto" da una catastrofe “reinventata”: la Mecca per i populisti di tutto il mondo...
Qui
è il problema. Sì, la catastrofe “reinventata”. E gli effetti a catena prodotti
dalla fiction politico-mediatica sull’epidemia
tutt’ora in onda e con grande successo (stando ai sondaggi favorevoli per l’operato del Governo: vera sindrome
sociologica di Stoccolma). Un fiction, che, come “Don Matteo” rischia di però non finire più. Insomma, di avere gravi conseguenze per il futuro.
Di
chi è la colpa? Il giornalista -
penso alle tante scemenze che si
leggono - non può avere, proprio per
mestiere una visione generale, innanzitutto perché è sua abitudine, dal momento che i tempi redazionali sono ristretti, correre subito
alle conclusioni generali, anche se avventate. Inoltre, in questi giorni, nelle
prime pagine, ma anche in quelle interne
(ancora peggio televisioni, radio e social, questi ultimi nelle mani di dilettanti), sono tornati a
prevalere, più che mai, i valori della cultura del romanzo d’
appendice, pesante eredità del populismo del XIX secolo, riversatasi nel
populismo del XXI: casi pietosi, intrighi
politici, colpi di scena, sentimentalismo. E quel che peggio, un ipocrita “andare
verso il
popolo”, che non è più il popolo del "Quarto Stato" di Pellizza da Volpedo (da radici della
rivoluzione industriale), ma una massa
disgregata di individualisti protetti, pronti a vendersi al primo offerente politico
che spacci dosi di welfare tagliato con il veleno dell’autoritarismo.
Di
chi è allora la colpa, ripetiamo? Intanto,
di un servilismo verso il potere, di cui
l’ Italia, a parte la parentesi Risorgimentale,
ha sempre dato prova. Si dovrebbe fare la storia a singhiozzi del populismo italiano, dai Gracchi a Grillo,
passando per Cesare, Gregorio VII, Cola di Rienzo e così via. Sul punto
rinviamo a Fabio Cusin (Antistoria d’Italia).
Allora
che cosa è successo? Si è verificata una
sciagurata saldatura sociale tra populismo culturale, mediatico ma
dalle profonde radici
storiche, e populismo politico, anch’esso
antico, ma rafforzato dalle violentissime correnti antiliberali e
antipolitiche che si sono abbattute sull’Italia negli ultimi venti, trent’anni.
Si aggiunga a questo una Chiesa cattolica, anch’essa su posizioni populiste, rafforzate dalla convergenza con il peggiore moralismo della sinistra neocomunista, ecologista e anticapitalista. Senza dimenticare il ruolo svolto per delega, come unica fonte autorizzata della decisione politica, dalle legioni di medici e scienziati arruolati dal governo populista, prigionieri però, professionalmente prigionieri - i medici - di una visione ultraspecializzata, quindi limitata e impolitica della realtà.
Detto altrimenti: la tempesta perfetta, come sommatoria di alcune forme (storiche o meno) di impoliticità: culturali, populiste, religiose, moraliste, scientifiche. Fortificate dalle metodologie del welfare e digitali. Per farla breve: rischia di vincere,anzi sta già vincendo, l'antimodernità armata, tecnologicamente armata, di tutti i nemici coalizzati della società aperta.
Ecco perché ha senso parlare, come dicevamo all’inizio, di prima epidemia populista-digitale della storia.
Ora, su queste masse italiane, semi-modernizzate, da secoli affamate di "pane e giochi", ammaliate e spaventate al tempo stesso dalla pseudocultura delle “feste, farina e forca”, che effetto potrà avere l’overdose di provvedimenti assistenzial-autoritari del governo populista? Misure che non possono non essere fonte inevitabile di ruberie, imbrogli e prepotenze, degne dei reali borbonici, dotati però di droni e reti digitali?
Che dire? C’è un brutto passato nel nostro futuro.
Carlo Gambescia