giovedì 5 marzo 2020

Coronavirus e Welfare State
Lo Stato della Ragion Sociale


Invitiamo gli amici lettori a riflettere su questa dichiarazione riconducibile a Giuseppe Conte o comunque all' entourage dell' "Avvocato del Popolo":

"Si tratta di un virus nuovo, per questo il governo ha deciso di agire adottando il principio della massima precauzione". Così fonti di palazzo Chigi commentano la posizione del Comitato scientifico."E' evidente che ora non ci siano evidenze scientifiche ma la politica - si spiega - deve puntare a qualsiasi iniziativa che contribuisca a rallentare la diffusione del virus".


“Massima precauzione”. Questa espressione coglie benissimo  il succo sociale del welfarismo. In pratica, si tratta dell’ eliminazione del rischio sociale a qualunque costo.  Una scelta di  valore che accomuna i vari sostenitori del Welfare State, dalla destra alla sinistra e in particolare i populisti, da  Salvini a Grillo.   
Gli effetti possono quindi essere devastanti: siamo dinanzi alla credenza totemica  in un meccanismo di protezione sociale che riduce l’individuo a un percettore di beni pubblici, tra i quali  il principale è quello della sicurezza sociale. Beni pubblici - attenzione  -  che sono considerati come un diritto sociale, al quale si affianca  come unico dovere quello di adempiere ai versamenti fiscali di sostegno alla spesa pubblica. Un do ut des  che in pratica  sfocia sempre nella famosa dialettica hegeliana signore-servo, con lo stato ovviamente nel ruolo del primo.

Come anticipato, il meccanismo della protezione sociale  è collegato al principio di precauzione che rimanda a sua volta all’eliminazione del rischio sociale. Ad esempio di perdere il lavoro, di ammalarsi, di impoverirsi.  
Il principio di precauzione, fin quando ci si muove all’interno di ipotesi concrete, ad esempio, una fabbrica può chiudere, può avvelenare l’aria, ha un suo fondamento reale, seppure oneroso sul piano delle misure pratiche. Ma quando il principio di precauzione si estende alla lotta contro un virus, come sta avvenendo in Italia,  del quale come si ammette non si sa  nulla, ecco che  tale  principio si tramuta  nella vecchia Ragion di Stato,  rappresentata però  più modernamente come  nuova Ragion di Welfare, dove il fine (pubblico) giustifica i mezzi (persino dittatoriali).  Anche  quando ci si  muove - ecco il punto inquietante -   sullo scivoloso terreno della  caccia alle streghe  che viaggiano  sulla scopa del  Coronavirus…
Certo, di qualcosa che non si conosce si deve diffidare. Di qui, come molti sostengono, la necessità, per così dire, di vedere il famigerato calice riempito a metà  sempre vuoto, per così  agire di conseguenza. Il che però è socialmente pericoloso. Perché? 
Per rispondere dobbiamo ritornare sulla questione dell’eliminazione del rischio.  Se tale eliminazione  sul piano sociale rimanda  al Welfare State, su quello politico rinvia al politico perfettista che  ritiene che attraverso l’eliminazione del rischio si possa costruire una società perfetta sotto il profilo della protezione sociale:  dalla culla alla tomba, come recita  un classico “adagio” welfarista.
Inutile qui sottolineare le conseguenze negative per la spesa pubblica, per l’economia, per la vita sociale, dell’applicazione estensiva di un  principio  donchisciottesco che  vuole eliminare il rischio dalla vita sociale. Un tentativo che, sia detto  per inciso,  come nel caso della chiusura di scuole e università decisa ieri dal Governo Conte, non si fa però scrupolo di  ignorare,  mostrando così di seguire una inesorabile e tremenda logica  interna di tipo  welfaristico-securitario,  le stesse indicazioni, se di senso contrario, della scienza medica...  
Inutile infine evidenziare il ruolo positivo del rischio in tutte le attività dell’uomo: un essere  non per nulla definito da numerosi  filosofi e antropologi  Homo ludens, proprio perché  non teme  e  sfida il rischio.

Pertanto il progetto welfarista  si rivolge pericolosamente contro la stessa natura umana, o se si preferisce  contro  l’essenza stessa della cultura umana.  Naturalmente l'idea di  welfare e il principio di precauzione hanno svolto un ruolo importante, come trama di uno spontaneo contro-movimento sociale (il termine è di Karl Polanyi), tra Ottocento e Novecento, che influì  giustamente sulla legislazione del lavoro. Dopo di che però  l’istituzionalizzazione del contro-movimento, come di regola accade nelle dinamiche sociali movimento-istituzione,  si è minacciosamente tradotta,  attraverso l’edificazione del Welfare State,  nella pura e semplice  estensione del principio di precauzione all’intera vita sociale ed economica.  In sintesi: dal contenimento spontaneo dal basso del rischio si è passati all’eliminazione totale del rischio imposta in senso costruttivista dall'alto. Il che  è umanamente impossibile.
Concludendo, dietro le decisioni governative di questi giorni -  frutto  di una vera e propria caccia alle streghe -   si  scorge addirittura   una pericolosa accentuazione  dell’aspetto  donchisciottesco  del Welfare State.
Tutto ciò  indica  che si  annuncia   una nuova fase nella sua storia, la terza (la prima è quella del contro-movimento, la seconda del welfare istituzionale come lo abbiamo conosciuto). Quale fase, più precisamente? Quella dello Stato della Ragion Sociale. Uno "stato totale"  che come del resto in questi giorni  si legge, con il semplice schiocco delle dita  pretende di cambiare per legge “lo stile di vita” degli italiani.
E  allora perché non dell'intera umanità?  
Carlo Gambescia