Coronavirus e Welfare State
Lo Stato della Ragion Sociale
Invitiamo
gli amici lettori a riflettere su questa dichiarazione riconducibile a Giuseppe
Conte o comunque all' entourage dell' "Avvocato del Popolo":
"Si tratta di un virus nuovo, per questo il governo ha deciso di agire
adottando il principio della massima precauzione". Così fonti di palazzo Chigi commentano la posizione del
Comitato scientifico."E' evidente che ora non ci siano evidenze
scientifiche ma la politica - si spiega - deve puntare a qualsiasi iniziativa
che contribuisca a rallentare la diffusione del virus".
“Massima
precauzione”. Questa espressione coglie benissimo il succo
sociale del welfarismo. In
pratica, si tratta dell’ eliminazione del rischio sociale a qualunque costo. Una scelta di valore che accomuna i vari sostenitori del Welfare State, dalla destra alla sinistra e in particolare i populisti, da Salvini a Grillo.
Gli
effetti possono quindi essere devastanti: siamo dinanzi alla credenza totemica in un meccanismo di protezione sociale che
riduce l’individuo a un percettore di beni pubblici, tra i quali il principale è quello della sicurezza sociale.
Beni pubblici - attenzione - che sono considerati come un diritto sociale,
al quale si affianca come unico dovere
quello di adempiere ai versamenti fiscali di sostegno alla spesa pubblica. Un do ut des che in pratica sfocia sempre nella famosa
dialettica hegeliana signore-servo, con lo stato ovviamente nel ruolo del primo.
Come
anticipato, il meccanismo della protezione sociale è collegato al principio di precauzione che
rimanda a sua volta all’eliminazione del rischio sociale. Ad esempio di perdere
il lavoro, di ammalarsi, di impoverirsi.
Il
principio di precauzione, fin quando ci si muove all’interno di ipotesi
concrete, ad esempio, una fabbrica può chiudere, può avvelenare l’aria, ha un
suo fondamento reale, seppure oneroso sul piano delle misure pratiche. Ma
quando il principio di precauzione si estende alla lotta contro un virus, come
sta avvenendo in Italia, del quale come
si ammette non si sa nulla, ecco
che tale principio si tramuta nella vecchia Ragion di Stato, rappresentata però più modernamente come nuova Ragion di Welfare, dove il fine
(pubblico) giustifica i mezzi (persino dittatoriali). Anche quando ci si muove - ecco il punto inquietante - sullo scivoloso terreno della caccia alle streghe che viaggiano sulla scopa del Coronavirus…
Certo,
di qualcosa che non si conosce si deve diffidare. Di qui, come molti
sostengono, la necessità, per così dire, di vedere il famigerato calice
riempito a metà sempre vuoto, per così agire
di conseguenza. Il che però è socialmente pericoloso. Perché?
Per rispondere dobbiamo ritornare sulla questione dell’eliminazione
del rischio. Se tale eliminazione sul piano sociale rimanda al Welfare State, su quello politico rinvia al politico perfettista che ritiene che attraverso
l’eliminazione del rischio si possa costruire una società perfetta sotto il profilo
della protezione sociale: dalla culla alla tomba, come recita un classico “adagio” welfarista.
Inutile
qui sottolineare le conseguenze negative per la spesa pubblica, per l’economia,
per la vita sociale, dell’applicazione estensiva di un principio donchisciottesco che vuole eliminare il rischio dalla vita
sociale. Un tentativo che, sia detto per inciso, come nel caso della chiusura di scuole e università decisa ieri dal Governo Conte, non si fa però scrupolo di ignorare, mostrando così di seguire una inesorabile e tremenda logica interna di tipo welfaristico-securitario, le stesse indicazioni, se di senso contrario, della scienza medica...
Inutile infine evidenziare il
ruolo positivo del rischio in tutte le attività dell’uomo: un essere non per nulla definito
da numerosi filosofi e antropologi Homo
ludens, proprio perché non teme e sfida il rischio.
Pertanto
il progetto welfarista si rivolge
pericolosamente contro la stessa natura umana, o se si preferisce contro
l’essenza stessa della cultura umana. Naturalmente l'idea di welfare e il principio di precauzione hanno svolto un
ruolo importante, come trama di uno spontaneo contro-movimento sociale (il termine è di Karl Polanyi), tra Ottocento e Novecento, che influì giustamente sulla legislazione del
lavoro. Dopo di che però l’istituzionalizzazione
del contro-movimento, come di regola accade nelle dinamiche sociali
movimento-istituzione, si è minacciosamente tradotta, attraverso l’edificazione del Welfare State, nella pura e semplice estensione del principio di precauzione all’intera vita sociale ed economica. In sintesi: dal contenimento spontaneo dal basso del rischio si è
passati all’eliminazione totale del rischio imposta in senso costruttivista dall'alto. Il che è umanamente impossibile.
Concludendo,
dietro le decisioni governative di questi giorni - frutto di
una vera e propria caccia alle streghe - si scorge addirittura una pericolosa accentuazione dell’aspetto
donchisciottesco del Welfare State.
Tutto ciò indica che si annuncia una nuova fase nella sua storia, la terza (la prima è quella del contro-movimento, la seconda del welfare istituzionale come lo abbiamo conosciuto). Quale fase, più precisamente? Quella dello Stato della Ragion Sociale. Uno "stato totale" che come del resto in questi giorni si legge, con il semplice schiocco delle dita pretende di cambiare per legge “lo stile di vita” degli italiani.
E allora perché non dell'intera umanità?
Tutto ciò indica che si annuncia una nuova fase nella sua storia, la terza (la prima è quella del contro-movimento, la seconda del welfare istituzionale come lo abbiamo conosciuto). Quale fase, più precisamente? Quella dello Stato della Ragion Sociale. Uno "stato totale" che come del resto in questi giorni si legge, con il semplice schiocco delle dita pretende di cambiare per legge “lo stile di vita” degli italiani.
E allora perché non dell'intera umanità?
Carlo Gambescia