venerdì 14 febbraio 2020

Perché si scrive?
La lezione di Ayn Rand


Ieri, sulla mia pagina Fb, Mauro Munari, poeta-quando-mi-va-se- mi-va, ha lasciato un commento interessante. Il  Carlo, al quale Mauro si riferisce, non sono io, ma Carlo Pompei, altra persona di valore,  che sta lavorando a un  libro. 

"Carlo...
l'analisi che fai è corretta.Spero tanto tu riesca a pubblicarlo e riesca a venderlo ....ma spero ancor di più che il libro sia letto perché....di leggere e di mettere in duscussione le proprie convinzioni, purtroppo, c’e’ sempre meno voglia.
Mauro Munari "

Piccola  premessa.  Su  Facebook c’è di tutto (non dico nulla di nuovo): dal professore mai cresciuto che annuncia il "nuovo giocattolo", magari una  Croce di Cavaliere,  al rivoluzionario depresso che sogna la ghigliottina. Seguono truffatori, svitati, perdigiorno, mariti e mogli tradite,  playboy, immobiliaristi, cacciatori e vegani, eccetera, eccetera. Raramente capita di interloquire  con sconosciuti di valore, cioè persone che non conosci nella vita, ma che incontri su Fb, riuscendo a stabilire rapporti intellettualmente  fruttuosi. Per quel che mi riguarda si contano sulle punta della dita. In genere chi si avvicina, lo fa per fama riflessa. Nel senso della ricerca della gratificazione personale che nasce dall’accostamento a persone comunque note.  Notorietà intesa  principalmente  in chiave televisiva.
Però non bisogna disperare. Ad esempio Mauro Munari, che non conosco di persona,  non è mai banale né interessato. E  il suo  commento  mi ha fatto subito pensare a una pagina di  Aynd Rand, la grande scrittrice liberale.  Perché si scrive?  La risposta si può rivenire nel suo capolavoro,  La fonte meravigliosa.
Parla Howard  Roark, l'architetto protagonista,  il cui epico discorso finale davanti ai giudici, dal quale è tratta la citazione, vale filosoficamente l’intero romanzo. Una grande  lezione di filosofia liberale. 

“Una sinfonia, un libro, un motore, un sistema filosofico, un aeroplano, un edificio: quelli erano la sua meta  e la sua vita, non gli esseri che leggevano, suonavano, volavano, credevano, e abitavano la casa che egli aveva costruito. La creazione, non chi se ne doveva servire. La creazione, non i benefici che ne sarebbero derivati per gli  altri. La creazione che dava forma alla sua verità. Questa andava mantenuta al di  sopra di tutto. La sue fede la sua energia, il suo coraggio venivano dal suo spirito. E lo spirito di un uomo  è la sua forza vitale, la sua fonte meravigliosa di vita, la sua personalità, il suo egoismo. Quell’entità spirituale che gli dà la certezza, la consapevolezza di esistere. Una prima causa, una fonte di energia, il motore dell’anima. Il creatore vive per se stesso. E solo vivendo così egli riesce a raggiungere quelle conquiste che  sono la gloria dell’umanità. L’uomo non può sopravvivere che attraverso il suo pensiero” (*)


Se non c’è questa energia interiore,  non c’è scrittore né scrittura. Un’energia che prescinde dal risultato, possibile, diciamo perseguibile nella durata delle nostre brevi vite.  Uno scrittore vero, se ci si perdona l’espressione un poco retorica, non parla in televisione  parla ai secoli.   E per nutrire questa certezza,  contro tutto e tutti - certezza che non può essere che frutto di una volontà ferrea che deve permeare tutta la vita -   ci si deve occupare solo di se stessi, come scrittori,  attingendo alla fonte meravigliosa della forza vitale,  quale consapevolezza di esistere, di fare la cosa giusta, per la quale siamo portati: la scrittura. Una specie di circolo virtuoso dell'interiorità.
Una forza interna, non esterna, che quindi  non nasce dall’imitazione, né dall’emulazione,  né ad altri  "nobili" o "luridi" moventi (esterni). C’è o non c’è.  E c’è quando la scrittura, senza mai stancarci  ha arricchito la nostra vita interiore, ci ha fatto sentire vivi e creativi.
Ma c’è  un altro punto interessante  sottolineato dalla Rand. A parlare è sempre  il protagonista del romanzo.  

“Agli uomini è stato insegnato che la più nobile virtù consiste non nel conquistare ma nel dare. Però non si può dare  quello che non è stato creato. La creazione viene prima della distribuzione. Il bisogno del creatore viene prima del bisogno di un qualsiasi beneficiario. Tuttavia, ci viene insegnato ad ammirare il parassita che dispensa beni che non ha prodotto senza preoccuparsi  dell’uomo che li ha procurati. Noi lodiamo un atto caritatevole. Noi scrolliamo le  spalle davanti a un atto di conquista. Il nostro scopo primo, ci viene detto, è quello di dar sollievo alle miserie altrui. Ma la sofferenza è una malattia. Fare di un gesto di carità la più alta prova della virtù significa fare della sofferenza  la parte più importante della vita . L’uomo deve desiderare di vedere gli altri soffrire, per poter essere virtuoso? Tale è la natura dell’altruismo. Il creatore [invece] non si interessa del male, ma della vita. Però il lavoro dei creatori ha eliminato una forma del male dopo l’altro, nel corpo e nello spirito, e ha portato sollievo alle sofferenza più  di quanto gli altruisti abbiano saputo concepire.” (**). 

Il che chiarisce il significato che la Rand attribuisce  a ciò che potremmo chiamare l’egoismo della creazione. Egoismo che può assumere tratti benefici. Ma come, ora è chiaro, non si crea per agli altri, ma per se stessi. L’atto creativo è sempre un atto, se ci si passa l’espressione, egoico.  Autosufficiente, indipendente nella sua genesi da qualsiasi implicazione sociale.  
Un ultimo punto ancora. Osserva  la Rand, sempre per bocca di Howard Roark, 

“agli uomini è stato insegnato che è una virtù andare d’accordo  con gli altri. Ma il creatore è l’uomo che non va d’accordo. Agli uomini  è stato insegnato che è una virtù nuotare con la corrente. Ma il creatore è l’uomo che va controcorrente. Agli uomini è stato insegnato che è una virtù sapere stare insieme. Ma il creatore è l’uomo che sta da solo. Agli uomini è stato insegnato che ‘io’ è sinonimo di male, e l’altruismo sinonimo di virtù. Ma il creatore  è l’egoista nel senso assoluto e l’altruista è colui che non pensa, non crede, non giudica e non agisce. Queste sono le funzioni dell’individualità” (***).


Con ciò credo sia tutto. Mi scuso con  Mauro Munari, per aver risposto al suo breve commento con una enciclica... Ma lo ringrazio, perché mi ha consentito di approfondire un tema che ho particolarmente a cuore. Ringrazio anche l’amico Carlo Pompei che ha favorito indirettamente con il suo post il mio di  oggi.

Carlo Gambescia

(*) Ayn Rand, La fonte meravigliosa, Corbaccio, Milano 1996, p. 669. "Quelli erano la  sua meta".  La meta del protagonista del libro,  come detto,  l’eroico   architetto  Howard Roark.  Eroe del pensiero, attaccato e criticato per la sua indipendenza intellettuale. Si parva licet, chi scrive ne sa qualcosa... Dal romanzo  il regista King Vidor  trasse nel 1949  un intenso  film dal titolo omonimo interpretato da un grandissimo Gary Cooper, ovviamente nei panni di Roark.  
(**) Ibid., p. 671.
(***) Ibid.