A proposito di un commento di Fabio
Brotto
Approccio morale e approccio scientifico
Ieri
l’amico Fabio Brotto (nella foto), durante un interessante confronto su Facebook, ha offerto, con il suo dire, un esempio chiarissimo della differenza che
passa tra approccio morale e approccio scientifico.
Riassumo.
Ieri ho scritto un articolo dove illustravo come in termini di grandi numeri, ossia di logica
probabilistica (statistica), che ognuno riceve quel che merita (*). Il che ovviamente, poiché si tratta di valori
medi, che tengono conto - statisticamente del caso - non
esclude, che alcuni ricevano
troppo o troppo poco rispetto a ciò che meritano.
La mia tesi ha però sollevato, ecco il
punto, una reazione di tipo morale. Ben
esemplificata dal doppio commento di Fabio Brotto.
Fabio Brotto: "Ognuno alla
fine riceve esattamente quel che merita" presuppone un'idea di
"merito", mi pare. Temo che qualcosa di moralistico, pur sempre
negato, stia come fondo oscuro sotto alcuni tuoi giudizi, il cui fondamento si
pretenderebbe neutro. Dunque, in che senso un "ultimo degli ultimi" come (e.g.) un
bimbo che muore di fame in Africa, riceverebbe "quel che merita"?
Questa affermazione potrebbe essere coerente con una visione induista, o con
una prospettiva calvinista, in ogni caso ha un sapore etico-religioso.
Fabio Brotto: Ne morisse
anche solo uno, non cambierebbe di uno iota il rigore del mio ragionamento, che
non è ovviamente, "quantitativo" ma attacca l'idea di
"merito". "Merito" con la statistica non c'entra nulla,
come dovrebbe essere chiarissimo. Temo che siamo molto distanti. Buona
giornata.
Giustissimo. “Siamo molto distanti”. E la diversità
è nell’ approccio. Lo scienziato,
il sociologo, in questo caso, prende
atto della realtà statistica, scientifica, che ci aiuta a capire l’importanza dei valori medi. La
scienza non è mai scienza del caso singolo, guarda alle classi e alle
regolarità, ovviamente non inventate, ma afferenti a risultati che,
attenzione, possono essere sempre falsificati. Che cosa voglio dire? Che qualora cambiassero
i valori medi, cambierebbe anche il senso sociologico del mio articolo. E io ne
sarei ben felice, per la scienza e per il caso singolo.
La morale, invece, si rivolge proprio al caso singolo,
ad esempio l’unico bambino africano eccetera, eccetera, richiamato da Fabio
Brotto nel suo esempio. I valori
professati dal moralista - buoni o cattivi che siano, non è questo il punto
scientificamente parlando - sono
infalsificabili. Sono, e basta. Come si evince dal “se ne morisse solo uno non
cambierebbe di uno iota il rigore del mio ragionamento”. Si noti anche la terminologia neotestamentaria… Comunque
sia, siamo davanti, a una professione di
etica dei principi che può essere riassunta nel classico Fiat
iustitia et pereat mundus.
Ora, se lo
scienziato proprio di etica deve parlare,
non può che pronunciarsi per
l’etica dei mezzi o della responsabilità, che a sua volta rimanda all’aggiustamento
tra principi e realtà. Quindi, una “morale”,
se proprio la vogliamo chiamare così, che sposi il principio scientifico di falsificabilità.
E qui faccio un esempio. “Avere ognuno ciò che merita”,
statisticamente parlando, rinvia alla curva
dei redditi paretiana, che riflette una
distribuzione media di valori statistici, una gaussiana a campana.
E quando mi si dimostrerà che è sbagliata, sarò il
primo a cambiare idea, proprio in nome del principio scientifico di falsificabilità.
Perché questa
curva è così importante? Perché Pareto prova due cose fondamentali: 1) che la
distribuzione dei redditi, storicamente parlando, dunque a prescindere dal
regime politico, è di natura piramidale o comunque assai vicina; 2) che
non è possibile cambiare la situazione
economica di una persona senza incidere su quella di un’altra.
Quanto sopra, non esclude la mobilità, anche piuttosto
veloce, secondo le epoche, verso l’alto
e verso il basso, però sempre all’interno della forma sociale, in termini di geometria piana, “triangolare” o quasi. Come non esclude stati temporanei di ottimo, dove le disparità, pur presenti, si stabilizzino,
sempre dentro il “triangolo” ovviamente. Pertanto, sia detto solo per inciso, come scrive l'amico Carlo Pompei, autore di un pregevolissimo commento, "la distribuzione del reddito (e quindi del merito) non può avvenire per decreto".
Concludendo, come si può capire, non c’è nel mio dire, alcun “fondo oscuro”. Uso la parola merito? Allora parliamo di entità M distribuita, eccetera, eccetera. Però
criticare un approccio scientifico, falsificabile, ricorrendo a principi morali infalsificabili, non è dal punto di vista
del ragionamento corretto. Sarebbe
invece corretto criticarmi in nome di una distribuzione dei redditi “altra”, ad esempio a forma di parallelepipedo rettangolo per tornare alla geometria solida.
Che però va provata, e statisticamente.
Che però va provata, e statisticamente.
Carlo Gambescia