Perché si scrive?
La lezione di Ayn Rand
Ieri, sulla mia pagina Fb, Mauro Munari, poeta-quando-mi-va-se-
mi-va, ha lasciato un commento interessante. Il
Carlo, al quale Mauro si riferisce, non sono io, ma Carlo Pompei, altra persona di valore, che sta lavorando a un libro.
"Carlo...
l'analisi che fai
è corretta.Spero tanto tu riesca a pubblicarlo e riesca a venderlo ....ma spero
ancor di più che il libro sia letto perché....di leggere e di mettere in
duscussione le proprie convinzioni, purtroppo, c’e’ sempre meno voglia.
Mauro Munari "
Mauro Munari "
Piccola premessa. Su
Facebook c’è di tutto (non dico
nulla di nuovo): dal professore mai cresciuto che annuncia il "nuovo giocattolo", magari una Croce di Cavaliere, al rivoluzionario depresso
che sogna la ghigliottina. Seguono truffatori, svitati, perdigiorno, mariti e mogli tradite, playboy, immobiliaristi, cacciatori e vegani, eccetera, eccetera. Raramente capita di interloquire con sconosciuti di valore, cioè persone che
non conosci nella vita, ma che incontri su Fb, riuscendo a stabilire rapporti
intellettualmente fruttuosi. Per quel che mi riguarda si contano sulle punta della dita.
In genere chi si avvicina, lo fa per fama riflessa. Nel senso della ricerca
della gratificazione personale che nasce dall’accostamento a persone comunque
note. Notorietà intesa principalmente in chiave televisiva.
Però non bisogna disperare. Ad esempio Mauro Munari, che non conosco di persona, non è mai
banale né interessato. E il suo commento
mi ha fatto subito pensare a una pagina di Aynd Rand, la grande scrittrice liberale. Perché si scrive? La risposta si può rivenire nel suo
capolavoro, La fonte meravigliosa.
Parla Howard Roark, l'architetto protagonista, il cui epico discorso finale davanti ai giudici, dal quale è tratta la citazione, vale filosoficamente l’intero romanzo. Una grande lezione di filosofia liberale.
Parla Howard Roark, l'architetto protagonista, il cui epico discorso finale davanti ai giudici, dal quale è tratta la citazione, vale filosoficamente l’intero romanzo. Una grande lezione di filosofia liberale.
“Una sinfonia, un libro, un motore, un sistema filosofico, un
aeroplano, un edificio: quelli erano la sua meta e la sua vita, non gli esseri che leggevano,
suonavano, volavano, credevano, e abitavano la casa che egli aveva costruito.
La creazione, non chi se ne doveva servire. La creazione, non i benefici che ne
sarebbero derivati per gli altri. La
creazione che dava forma alla sua verità. Questa andava mantenuta al di sopra di tutto. La sue fede la sua energia,
il suo coraggio venivano dal suo spirito. E lo spirito di un uomo è la sua forza vitale, la sua fonte
meravigliosa di vita, la sua personalità, il suo egoismo. Quell’entità
spirituale che gli dà la certezza, la consapevolezza di esistere. Una prima
causa, una fonte di energia, il motore dell’anima. Il creatore vive per se
stesso. E solo vivendo così egli riesce a raggiungere quelle conquiste che sono la gloria dell’umanità. L’uomo non può
sopravvivere che attraverso il suo pensiero” (*)
Se non c’è questa energia interiore, non c’è scrittore né scrittura. Un’energia
che prescinde dal risultato, possibile, diciamo perseguibile nella durata delle nostre brevi
vite. Uno scrittore vero, se ci si
perdona l’espressione un poco retorica, non parla in televisione parla ai secoli. E per nutrire questa certezza, contro tutto e tutti - certezza che non può
essere che frutto di una volontà ferrea che deve permeare tutta la vita - ci si deve occupare solo di se stessi, come scrittori, attingendo alla fonte meravigliosa della forza vitale, quale consapevolezza di
esistere, di fare la cosa giusta, per la quale siamo portati: la scrittura. Una specie di circolo virtuoso dell'interiorità.
Una forza interna, non esterna, che quindi non nasce dall’imitazione, né dall’emulazione, né ad altri "nobili" o "luridi" moventi (esterni). C’è o non c’è. E c’è quando la scrittura, senza mai stancarci ha arricchito la nostra vita interiore, ci ha fatto sentire vivi e creativi.
Una forza interna, non esterna, che quindi non nasce dall’imitazione, né dall’emulazione, né ad altri "nobili" o "luridi" moventi (esterni). C’è o non c’è. E c’è quando la scrittura, senza mai stancarci ha arricchito la nostra vita interiore, ci ha fatto sentire vivi e creativi.
Ma c’è un altro punto
interessante sottolineato dalla
Rand. A parlare è sempre il protagonista del romanzo.
“Agli uomini è stato insegnato che la più nobile virtù consiste
non nel conquistare ma nel dare. Però non si può dare quello che non è stato creato. La creazione
viene prima della distribuzione. Il bisogno del creatore viene prima del
bisogno di un qualsiasi beneficiario. Tuttavia, ci viene insegnato ad ammirare
il parassita che dispensa beni che non ha prodotto senza preoccuparsi dell’uomo che li ha procurati. Noi lodiamo un
atto caritatevole. Noi scrolliamo le
spalle davanti a un atto di conquista. Il nostro scopo primo, ci viene
detto, è quello di dar sollievo alle miserie altrui. Ma la sofferenza è una
malattia. Fare di un gesto di carità la più alta prova della virtù significa
fare della sofferenza la parte più
importante della vita . L’uomo deve desiderare di vedere gli altri soffrire,
per poter essere virtuoso? Tale è la natura dell’altruismo. Il creatore
[invece] non si interessa del male, ma della vita. Però il lavoro dei creatori
ha eliminato una forma del male dopo l’altro, nel corpo e nello spirito, e ha
portato sollievo alle sofferenza più di
quanto gli altruisti abbiano saputo concepire.” (**).
Il che chiarisce il significato che la Rand attribuisce a ciò che potremmo chiamare l’egoismo della
creazione. Egoismo che può assumere tratti benefici. Ma come, ora è chiaro, non
si crea per agli altri, ma per se stessi. L’atto creativo è sempre un atto, se
ci si passa l’espressione, egoico.
Autosufficiente, indipendente nella sua genesi da qualsiasi implicazione sociale.
Un ultimo punto ancora. Osserva la
Rand , sempre per bocca di Howard Roark,
“agli uomini è stato insegnato che è una virtù andare
d’accordo con gli altri. Ma il creatore
è l’uomo che non va d’accordo. Agli uomini
è stato insegnato che è una virtù nuotare con la corrente. Ma il
creatore è l’uomo che va controcorrente. Agli uomini è stato insegnato che è
una virtù sapere stare insieme. Ma il creatore è l’uomo che sta da solo. Agli
uomini è stato insegnato che ‘io’ è sinonimo di male, e l’altruismo sinonimo di
virtù. Ma il creatore è l’egoista nel
senso assoluto e l’altruista è colui che non pensa, non crede, non giudica e
non agisce. Queste sono le funzioni dell’individualità” (***).
Con ciò credo sia tutto. Mi scuso con Mauro Munari, per aver risposto al suo breve
commento con una enciclica... Ma lo ringrazio, perché mi ha consentito di approfondire un tema che ho particolarmente a cuore. Ringrazio anche
l’amico Carlo Pompei che ha favorito indirettamente con il suo post il mio di oggi.
Carlo Gambescia
(*) Ayn Rand, La fonte
meravigliosa, Corbaccio, Milano 1996, p. 669. "Quelli erano la sua meta". La meta del protagonista del libro, come detto, l’eroico architetto Howard Roark.
Eroe del pensiero, attaccato e criticato per la sua indipendenza intellettuale. Si parva licet, chi scrive ne sa qualcosa... Dal romanzo il regista King Vidor trasse nel 1949 un intenso film dal titolo omonimo interpretato da un grandissimo Gary Cooper, ovviamente nei panni di Roark.
(**) Ibid., p. 671.
(***) Ibid.