Prescrizione, un approccio sociologico
Il
“Corriere della Sera” ha diffuso un sondaggio dal quale risulta che solo il
20 per cento degli intervistati considera la prescrizione "una garanzia per gli imputati", in mancanza della quale, come giustamente si legge, "rischiano di restare sotto processo per un
tempo molto lungo" (*).
Cosa
pensare? Per farla semplice, diciamo di buon senso, che
otto italiani su dieci, stando al campione, non sono mai entrati in un'aula di tribunale. Perché chiunque abbia avuto a che fare con la giustizia
penale e civile italiana non può non essere
favorevole a misure, tra le quali la
prescrizione, che consentano la fuoriuscita da una specie di girone infernale. Dove un tremendo
mix tra burocrazia e spirito di
corpo (dei giudici come degli avvocati)
trasforma sempre più spesso i processi nell’ipotesi migliore in conflitti di status tra giudici e
legali, nella peggiore in routine, dove l'una e l'altra parte leggono superficialmente gli atti.
Ovviamente, il nostro è un occhio sociologico. Chi scrive non guarda alle grandi filosofie della giustizia e della legge, ma allo svolgimento
effettivo delle cose. Non guarda alle eccezioni, che pure esistono, ma alla famosa verità effettuale. Alla regola, insomma. E qual è in questo caso? Che la realtà giudiziaria è molto lontana dall’ideale.
Lo stato di diritto, magnifico strumento
creato dalla cultura liberale, deve
purtroppo fare i conti con due fattori: 1) la logica burocratica delle grandi strutture sociali; 2) la dinamica della società di massa, imbevuta di cultura democratica.
Sicché, per quanto si voglia intervenire sul piano
delle riforme, l’impedimento principale al buon funzionamento dello stato di diritto, diremmo costitutivo, resta rappresentato
dai grandi numeri della giustizia democratica. Detto in altri termini: la burocratizzazione
corporativa (il micidiale mix di cui sopra) è un effetto perverso della dilatazione democratica dello stato e
dei suoi poteri, tra i quali c’è quello giudiziario. Dilatazione che però rinvia a
sua volta alla dilatazione dei poteri di
polizia (per la giustizia penale) e alla "cetimedificazione" della litigiosità
(per la giustizia civile): due fenomeni, tipici della società di massa, che a loro volta influiscono sulla dilatazione democratica, che a sua volta, di rimbalzo, eccetera, eccetera.
Lo
stato dovrebbe fare un passo indietro. Ma nelle società a benessere diffuso come le nostre, criminalità e litigiosità vanno di pari passo. Crescono insieme, pur con differenti finalità funzionali interne. Di qui, comunque sia, la crescente domanda, per così dire democratica, da parte dei cittadini di giustizia, sia penale che civile. Una richiesta cui la politica, che oggi vive di una macchina per fabbricare divinità chiamata stato, non può sottrarsi, pena la perdita di consensi. E così si procede a colpi di promesse e aspettative crescenti.
Siamo davanti a un circolo vizioso che ha radici sociali piuttosto che politiche. E che spiega il cosiddetto populismo penale, frutto di disinformazione personale ("anche" del non essere mai entrati eccetera), di processi emulativi, tipici di un società di ceti medi che può investire in avvocati e giudici, nonché dell' idealizzazione diffusa di una macchina giudiziaria che non potrà mai dare ciò che promette.
Siamo davanti a un circolo vizioso che ha radici sociali piuttosto che politiche. E che spiega il cosiddetto populismo penale, frutto di disinformazione personale ("anche" del non essere mai entrati eccetera), di processi emulativi, tipici di un società di ceti medi che può investire in avvocati e giudici, nonché dell' idealizzazione diffusa di una macchina giudiziaria che non potrà mai dare ciò che promette.
Per
questa ragione ogni misura, anche
tampone come la prescrizione, che può
aiutare il cittadino a non essere
stritolato dalla macchina giudiziaria, va accolta con favore. In qualche misura è una forma di garantismo sociologico piuttosto che giuridico. Una forma di resilienza, se si vuole.
Ovviamente,
come detto, coloro che non sono mai finiti dentro quella macchina non possono capire. O peggio ancora, come capita di leggere, si celebra erroneamente il giustizialismo come giusta risposta a un fenomeno che invece, in quanto effetto perverso, ha profonde radici sociali. Oppure si spinge sul pedale di una legificazione che finisce inevitabilmente per avvitarsi su stessa moltiplicando gli effetti negativi inattesi.
Purtroppo a tutto ciò la politica sembra tristemente adeguarsi. A che prezzo però?
Purtroppo a tutto ciò la politica sembra tristemente adeguarsi. A che prezzo però?
Carlo Gambescia