Salvini a processo
A brigante, brigante e mezzo
Sarebbe
interessante scoprire quando si parlò per la prima volta nella storia della Repubblica di persecuzione giudiziaria di un politico. Probabilmente negli
anni di Tangentopoli quando Craxi rivendicò la sua condizione di vittima di una magistratura politicizzata. Dopo venne il turno di
Berlusconi. E ora tocca a Salvini.
C’
è però una differenza, fermo restando che la magistratura è strabica, dal
momento che continua a colpire - parliamo dei politici importanti - sempre a destra.
Dicevamo che c’è una differenza tra Craxi, Berlusconi da una parte, e Salvini
dall’altra. Quale? Che se per il
leader socialista, prima, e per il
Cavaliere dopo, in gioco vi erano in ballo questioni di soldi (semplificando), contro
Salvini la discriminante è schiettamente costituzionale. Il leader leghista rappresenta intellettualmente l’antitesi politica dei valori di tolleranza e solidarietà racchiusi nella
Costituzione repubblicana. Non è più questione di soldi sottobanco,
evasione fiscale e frequentazioni di minorenni, sono in causa i diritti
dell’uomo. Ovviamente, sul piano legale, una volta in tribunale, si possono fare distinzioni sottili. Detto
brutalmente, buttarla in caciara… E in ciò spera Salvini. Torneremo su questo più avanti.
Insomma, il punto è politico-ideologico non giuridico (sì, sì sappiamo che la forma è sostanza, ma non deve neppure essere un nodo scorsoio al quale appendersi...). E rinvia allo stesso gigantesco contrasto di valori che caratterizzò l’immane conflitto tra la liberal-democrazia e i fascismi. Il che, sebbene non giustificabile dal punto di vista
delle regole, aiuta però a capire come l'extrema ratio dell’uso politico (mai dimenticare questo aspetto di ultima possibile linea di azione) abbia una sua ragione “alta”: eliminare un avversario antisistemico, pericolosissimo, che con il suo fare e dire ci riporta indietro alla cultura politica della tentazione fascista.
Certo, ripetiamo, anche il tentativo di eliminare politicamente Salvini (perché se condannato sarebbe fuori) rischia di violare le regole dello stato di diritto. Sotto questo aspetto condividiamo in modo spudorato il titolo di oggi di “Libero”, rovesciandone però il senso politico: "Ottimo: Salvini in galera".
Insomma, come si dice, a brigante, brigante e mezzo. Siamo in pieno stato di eccezione, la democrazia liberale è in pericolo, realmente (altro che Craxi e Berlusconi…), e deve difendersi anche ricorrendo all’uso politico della giustizia. Di cui, indubbiamente, in Italia si è fatto spreco se non strame... Nessuno qui lo nega per carità.
Alcuni sostengono che l'antipolitica giudiziaria rischia di rafforzare politicamente Salvini quando si andrà al voto. Perché ne seguirebbe un governo di destra che lo tirerebbe fuori dai guai. Può darsi. Salvini del resto lo spera. Ma, ripetiamo, "questa volta", siamo in pieno stato di eccezione. La cosa è seria. E si deve tentare di fermare un nemico (attenzione, non un avversario...) sistemico.
Per capire la gravità della situazione, si pensi solo a una cosa: quale politico italiano di vertice, nella storia della Repubblica, neofascisti a parte, ha mai citato a sua difesa Ezra Pound - il Pound mussoliniano al cento per cento - come Salvini ieri su Twitter?
Da un personaggio così pericoloso la Repubblica e ogni vero liberale devono difendersi con qualunque mezzo, a prescindere dalla compagnia politica del momento. Chi scrive non ha mai amato la sinistra e i suoi ipocriti metodi politico-giudiziari, molto spesso usati a sproposito, di cui il titolo di “Repubblica” è l'ennesima prova. Ma Salvini va fermato.
Del resto, pur di battere Hitler, le liberal-democrazie non si allearono con Stalin? Si dirà che Salvini non è Hitler. E sia. Ma neppure Travaglio è Stalin...
Carlo Gambescia