Sociologia del concetto di merito
Che
cos’è il merito? Come si stabilisce il merito di una persona rispetto a un'altra? E chi deve stabilirlo? Che
cos’è meritevole? E di che cosa? Aiuto? Riconoscimento? E in quali forme? Economiche? Morali? Ovviamente si è "meritevoli" anche di castighi e punizioni.
Però in
genere si attribuisce al termine
un valore positivo. L’etimologia latina
rimanda a merere (meritare,
acquistare, guadagnare). Nel concetto di
merito è sotteso un diritto
all’acquisizione con le proprie opere a ricompense materiali o
morale, e nel credente, sovrannaturali.
La
sociologia come deve comportarsi nei riguardi del concetto di merito? O meglio ancora, che tipo di contributo analitico può dare?
In
primo luogo, dal punto di vista dei
comportamenti, il merito ( sapere che se si agirà in un certo modo si otterrà
una ricompensa sociale) è un elemento che favorisce il conformismo sociale nel
senso di un comportamento sociale
conforme a determinati valori prevalenti nel gruppo sociale. Il che può valere sia per lo studente modello che per il mafioso modello. Basta sostituire la pistola
al libro e viceversa.
In
secondo luogo, le ricerca storica e sociologica - basta sfogliare una qualsiasi buona storia universale (1) - prova che le società dove prevale l’ideologia meritocratica funzionano
meglio di quelle dove si ascende socialmente per altri canali, più o meno fiduciari. Sembra
che i costi sociali di una società
meritocratica siano inferiori rispetto al suo contrario. Ovviamente la regola
della meritocrazia come "lubrificante" vale sia
per un’impresa commerciale, come per un gruppo camorristico.
Il
terzo luogo, e qui introduciamo il concetto con una domanda, la sociologia come può misurare il rapporto tra merito e
società? Purtroppo, al momento esistono forme di misurazione non particolarmente sofisticate. Bisogna accontentarsi, per ora. Del resto non potrebbe non
essere così. Perché quando si parla di
misurazione, non si parla di ciò che la
gente considera sia meritevole di essere ricompensato, oppure dei
giudizi collettivi sulla legittimità o meno delle distanze sociali, bensì si
parla della necessaria fotografia della società, fotografia capace di riflettere abbastanza fedelmente il rapporto tra stratificazione sociale e merito. Cosa non proprio facile.
Merito, però,
inteso come? Come correlazione positiva tra reddito e quoziente di intelligenza (da ultimo si veda Herrnstein e Murray) (2), dal momento che le due curve a
campana del reddito e del QI si sovrappongono quasi perfettamente. Ciò significa una persona intelligente ha più
possibilità di un’altra che lo è meno, di
meritarsi un posizione economica,
e di conseguenza sociale, migliore.
Si
dirà che non è molto. Però, come mostrano gli studi di Pareto (3), la curva
del reddito sembra essere storicamente stabile, come del resto, e a maggior
ragione, quella dell’intelligenza. Diciamo che la correlazione costituisce una base cognitiva sufficientemente sicura.
Ciò però significa anche un'altra cosa, urticante per tutti, egualitari e meritocratici. Quale? Che la meritocrazia, anche
se correttamente applicata, come insegnano i dati statistici, oltre un certo limite o picco, stabilito dalla
distribuzione a campana dell’ intelligenza,
non può andare. Il numero dei capaci, fino a prova contraria, tende da sempre a essere inferiore a quello dei
parzialmente capaci e degli incapaci. Di
conseguenza, il meccanismo, anche il più meritocratico di selezione, soprattutto
in una società di massa, se vuole colmare i vuoti in alto, sarà sempre a costretto ad
abbassare gli standard selettivi, innescando un processo di graduale selezione se non dei peggiori, dei “diversamente
capaci” che alla lunga può nuocere al funzionamento o "equilibrio" sociale, per dirla nuovamente con Pareto.
Al
riguardo sarebbe interessante indagare, anche per trovare una ulteriore
verifica empirica a quel che stiamo scrivendo, le liste degli Ordini al Merito della Repubblica, un totale di circa duecentocinquantamila soggetti, suddivisi dal basso verso l’alto in cinque
livelli (da Cavaliere a Cavaliere di Gran Croce, passando per Ufficiali, Commendatori e Grandi Ufficiali). Le liste sono pubbliche e quindi verificabili (4) .
Qual è l'ipotesi? Che la
distribuzione delle capacità economiche e intellettive, anche all’interno dell’élite pubblica del merito italiana, rifletta una curva a campana. Insomma le vere eccellenze, premi nobel, grandi
imprenditori, sommi artisti eccetera, non potrebbero che essere “posizionate” nella parte alta, per
riconosciuto valore, mentre nella parte discendente probabilmente ritroveremmo coloro che godono i frutti, per così dire, dell’abbassamento
degli standard. Non che non siano anch’essi meritevoli, ma visto che siamo in una società di massa, probabilmente una cruna dell’ago più larga permette l’accesso dei meno dotati in chiave scalare, ovviamente. Il che però alla lunga potrebbe non giovare alla funzionalità sociale e in questo caso al buon nome di una istituzione. Si
pensi, alla battuta cavouriana, se ricordiamo bene, sul
cavalierato, che come un sigaro non si nega a nessuno. Questo accadeva più di
centocinquant’anni fa, figurarsi oggi.
Come
concludere? Qui il sociologo, come il geografo antico, si ferma. Hic sunt
leones.
Carlo Gambescia
(1) Si consigliano le classiche storie universali di Corrado Barbagallo e Jacques Pirenne.
(2)
Per ulteriori indicazioni, anche bibliografiche, si veda qui:
(3)
A chi desideri approfondire, anche sul piano bibliografico
(di e su), le tesi paretiane sulla distribuzione dei redditi, rinviamo al
sintetico ma eccellente studio di Fiorenzo Mornati, scaricabile qui: https://www.researchgate.net/publication/23696785_Sulle_origini_della_legge_di_distribuzione_del_reddito_di_Pareto . Si vedano in particolare le
conclusioni (p. 12)