domenica 17 febbraio 2013


Ringraziamo  l'amico  Luciano Arcella per l' interessante articolo, soprattutto sotto il profilo del metodo.  Perché mostra,  al di là della condivisione o meno dei suoi contenuti,   come si possa affrontare una questione "religiosa" dal punto di vista "laico", senza  scivolare   in tre reazioni-tipo:  umanesimo spicciolo,  democraticismo,  minimalismo  irrisorio.  
Con il post del professor Arcella,   distinto da una  limpida socio-etnografia del sacro,  chiudiamo degnamente  la nostra "settimana santa" dedicata alle "dimissioni" del Santo Padre. Tra l'altro seguita dai  nostri lettori -  che ringraziamo -  con grandissimo interesse.  
Naturalmente, come si usa dire, seguiremo gli sviluppi, tornando, se necessario, sull'argomento.  Buona lettura.  (C.G.)




Il Buon Pastore tedesco che non ha saputo morire 
Il Papa e gli Esquimesi
di Luciano Arcella






Il paese dalle ombre lunghe, vecchio romanzo etnografico di Ruesch, racconta come fra gli Esquimesi vigesse una particolare consuetudine in relazione alla vecchiaia e alla morte. Le persone anziane non in grado di mantenersi da sole, in una realtà in cui nessuno poteva badare ad altri, si davano volontariamente la morte per mezzo di una solitaria passeggiata fra i ghiacci. In silenzio, nel rispetto di un'antica tradizione, accettavano con dignità il comune destino e sacrificavano se stessi per il buon funzionamento di una società che non poteva permettersi di tirarsi dietro insostenibili zavorre.
Che c'entra questo col Papa, e specificamente con il cardinale Ratzinger, già Benedetto XVI? C'entra per alcune similitudini. Ratzinger era divenuto una zavorra per la società ecclesiastica romana che non poteva né può permettersi una guida fisicamente inefficiente e quindi non in grado di svolgere il ruolo di difensore e diffusore della fede in una realtà che, nella sua notevole dimensione e complessità, richiede un impegno e uno sforzo fisico notevoli. Nella società esquimese come in quella ecclesiastica romana il bene supremo è l'istituzione, per cui è fondamentale la sua sopravvivenza, che sarebbe minata da persone inefficienti, tantopiù se queste sono chiamate a una funzione di comando (funzione che nella società esquimese apparteneva agli anziani ma in stato di efficienza fisica). Da ciò la necessità dell'eliminazione di chi metterebbe con la sua insistita sopravvivenza l'intera società.
Conseguenza dunque di questo ragionamento, non dettato da fantapolitica ma da semplice logica, sarebbe stata che il Papa si fosse comportato da esquimese, non andando certo a gelare fra le nevi della natia Baviera, ma lasciandosi annientare dalle sapienti cure di un apparato che lo avrebbe pacificamente accompagnato alla morte mentre si trovava in pieno possesso della sua carica. Però il buon Ratzinger verosimilmente non se l'è sentita di fare l'Esquimese e così ha deciso di rinunciare, di venir meno al suo obbligo di consumarsi nella funzione o meglio detto, di lasciarsi consumare nel corso della funzione.
A questo punto potremmo dire che in fondo è la stessa cosa, ossia che l'essere andato in pensione non è diverso dal morire, visto poi che si va a rinchiudere in un convento dal quale non uscirà una sola parola né un'immagine del sacro ospite. E invece non è proprio la stessa cosa, perché da quando esiste il potere sacro del comando (cioè da sempre), terminato in Occidente solo dopo la caduta del Sacro Romano Impero della Nazione Germanica, non si può avere una diarchia, anche se il vecchio sovrano ha rinunciato in favore del nuovo. O meglio, una diarchia è qualcosa di imbarazzante, è un potere diviso, è la minaccia di scisma, è il rischio dell'annientamento. Che la Chiesa di Roma non avrebbe voluto correre, ma che purtroppo si trova a dover affrontare perché la sua guida non ha voluto rinunciare a una pur sacrificata sopravvivenza.
Non si tratta con ciò di fantapolitica vaticana, di trame occulte né di favole per una America acculturata all'ombra di Dan Braun, ma di una deduzione fondata sul significato di un istituto, quello papale, e di una società fondata su tale istituto. E che ora corre grossi rischi ai quali cercherà di porre rimedio (unico modo del resto) con una rapida rielezione, con la presenza di una figura che con la sua forza dovrebbe cancellare l'ombra dell'altra, la quale tuttavia sarà sempre incombente con la sua presenza di morto-vivente o di vivo-morente, comunque ancora troppo vivo per non costituire una minaccia per una società che si fonda su una dinastia spirituale nella quale il potere, sempre dato da Dio, non può essere condiviso.
E tutto ciò per colpa di un buon pastore tedesco che non ha saputo morire.

Luciano Arcella

Luciano Arcella , dopo essersi prepensionato dall'Università dell'Aquila, Facoltà di Filosofia, ormai in disuso, oltre che caratterizzata da una ideologia mediocremente conservatrice alla “Bella ciao”, attualmente insegna filosofia presso la Universidad del Valle di Santiago de Cali (Colombia), dove risiede da oltre due anni. Tra le ultime pubblicazioni, Rio favela, in Centralità marginali. Cinque saggi di antropologia ubana (Controcorrente), Olvidarse de las raìces in "Praxis Filosòfica", Nietzsche, além do Ocidente (Muiraquità ).

Nessun commento:

Posta un commento