Il libro della
settimana: Olivier Dard,Bertrand de Jouvenel, Perrin, Paris
2008, pp. 528, euro 25,00 .
In Italia, tranne un
rapido passaggio in libreria tra gli anni Sessanta e Settanta la figura e
l’opera di Bertrand de Jouvenel (1903-1987), non hanno mai goduto di grande
fortuna. Va comunque onestamente ricordato un certo recupero del suo
pensiero, in chiave più liberista che liberale, negli anni Novanta del
Novecento. Ma su questi aspetti italiani rinviamo allo stringato
- ma comunque interessante - libro di Francesco Raschi sul suo
pensiero politico (Rubbettino 2008). E per chi desideri saperne di
più? Dando per scontata la conoscenza della lingua francese consigliamo
la lettura della densa biografia critica di Olivier Dard, Bertrand de Jouvenel, (Perrin), uscita nel 2008 e che qui
“ripeschiamo” per sollecitarne la traduzione italiana. Per i buoni libri - come
per le buone cause - non è mai troppo tardi.
Del professor Dard,
docente di storia all' Università Paul-Verlaine di Metz,
ricordiamo, tra i molti titoli, gli avvincenti e dotti studi sui
“non conformisti” francesi degli anni Trenta (Le Rendez-Vous manqué des relèves des années trente eLes
Années Trente. Le choix impossible) pubblicati sempre dalle
Éditions Perrin. Due libri da non perdere (e da tradurre in italiano...).
Parliamo di una
biografia di oltre cinquecento pagine (incluse 80 di note), sette
parti divise in quindici capitoli, corredato da una sostanziosa
bibliografia di e su (più o meno trenta
pagine). Abbiamo tra le mani un testo magistrale, scritto
in un francese limpido, dove si ricostruiscono con
grande ricchezza di particolari ambienti, relazioni,
vicende, fortuna dei libri. E
come? Scandagliando quello straordinario giornale
dell'anima dejouveneliana (un vera miniera d'oro) rappresentato
dai taccuini e note di lavoro (tenuti dal 1943 alla sua morte),
finora inediti, nei quali Dard si è gettato
con la perizia dello storico collaudato. Si ripercorre
così l’intero cammino esistenziale, politico, culturale e scientifico
di uomo curioso e febbrile, ma al tempo stesso razionale
e realista. Un ossimoro vivente. Si pensi solo alla
sua tellurica biografia politica. Scrive Dard:
« Son itinéraire politique frappe d’abord par sa diversité pour ne pas dire son
caractère contradictoire. Du parti radicale au
PPF, du Centre National des indépendants au vote socialiste en 1974 et 1981, en
passant par le comte de Paris, Bertrand de Jouvenel, à l’exception du parti
comuniste e du gaullisme, a frayé avec toutes les familles politiques
françaises, avec des degrés divers d’engagement» (p. 382). Insomma, un
impegno che praticamente non ha risparmiato quasi alcuna forza
politica. Ma - ecco il punto - sempre
sublimato da una sistematica volontà di
sapere. Come nota Dard, de Jouvenel « aspire à se voir
considérer comme un théoricen et un expert dans des domaines qu’il explore et
fait siens: la pensée politique, l’organisation de l’économie, l’écologie et la
prospective» (p. 384). Anche perché, egli « est un
moderne qui refuse de se laisser enfermer dans une nostalgie passéiste et pour
qui la technique, bien employée, peut être liberatrice» (p. 388).
Di qui,
pur all'interno di un vasta produzione, i suoi grandi libri: Du
Pouvoir (1945, a dire il vero
tradotto, almeno questo, tempestivamente da Rizzoli nell'agosto del 1947,
come recita la soscrizione della copia in nostro possesso...), De
la souveraineté(1955), The Pure Theory of Politics (1963), L’art
de la conjecture (1964), Arcadie.
Essais sur le mieux vivre (1968).
Volumi che spaziano dalla teoria politica alla scienza della previsione per
culminare nell’ecologia politica, quale sfondo di una buona economia aperta al
mercato ma realisticamente attenta alle grandi questioni organizzative,
ambientali e dello sviluppo sostenibile, come oggi si usa dire.
Qual è secondo Dard
il filo conduttore di un’esistenza a duecento all'ora? Dove
politica e scienza sono talvolta pericolosamente intrecciate?
Lo storico individua quattro precise fasi della vita di Jouvenel
(che costituiscono altrettanti capitoli del libro): il giovane e brillante
giornalista radicalsocialista, ricco di relazioni e contatti; l’intellettuale
fascista ( fra il 1934 e 1938), il liberale del
dopoguerra (tempratosi tra il ferro e il fuoco del
1943-1944 ); il futurologo e pensatore ecologista ante
litteram (negli anni
Sessanta). Tutte scelte, secondo Dard, dettate dalla sua costante e
realistica preoccupazione di tenere a freno l’economia, in particolare
quella di mercato, senza però concedere troppo
all'appetito, sempre eccessivo, dei poteri statali. Dard
individua le origini di questo realismo attento ai fatti e quindi
alle costanti del politico (il nocciolo duro della politica: ruolo delle
èlite e lotta per l'egemonia in primis), nel suo
primo libro, uscito nel 1928: L’économie dirigée (
si veda la trattazione che ne fa lo storico alle pp.
52-55). Radici, del resto riconosciute dallo
stesso de Jouvenel nelle memorie (Un voyageur dans le siècle, tomo I, 1980), dove
scrive, come riporta Dard, che in quel libro « y trouve
"des vues qui [lui] paraissent aujourd'hui saines et raisonnables,
celles d'une génération sans exaltation ni utopie, préoccupée d'une marche de
l'économie qui fût socialment bénéfique" » (p. 52). Ne L’économie
dirigée è possibile ritrovare l’idea
dell’organizzazione dell’economia di mercato, posta al servizio non di uno
stato-onnivoro ma del mercato stesso e di un individuo che può, anzi
deve esprimere se stesso attraverso la libertà,
soprattutto (ma non solo) economica. Insomma, politicamente si può
essere di tutto ( radicale, fascista, liberale, ecologista), ma senza
mai tradire la lezione dei fatti. O se si preferisce l'attenzione
vero le le cose come sono e non come dovrebbero essere. Et
voilà, il realismo Bertrand de Jouvenel. Realismo che non crederà
mai nella mano invisibile del mercato come in quella visibile dello
stato. Un gusto per il realismo, condiviso
generazionalmente anche con altri, come spiega Dard, ma che,
miracolosamente, come ogni storico di razza sa bene, assume in
Bertrand de Jouvenel una cifra se non unica, particolare: prima
radicale anomalo aperto al sociale e sgradito ai difensori della proprietà,
dopo fascista non statolatrico e perciò inviso agli stessi fascisti e,
infine, un liberale politico, poco amato dai quei liberali, se ci passa la
caduta di stile, ipnotizzati dal mercato. Il vero realista, se si vuole,
non può non essere un "traditore" di ogni politica
"ideologicamente" orientata e quindi nemica dei fatti.
Da questo punto di vista, de Jouvenel potrebbe essere definito un liberale triste, come Pareto, Croce, Aron, Röpke, Berlin perché fiducioso nell'individuo, ma malinconicamente consapevole delle leggi del politico e perciò di un fatto fondamentale: che si comanda alla politica ubbidendo alle sue leggi. Il che, va onestamente riconosciuto implica una controindicazione: il rischio di accettare, talvolta, i fatti compiuti. Pericolo che rappresenta il lato oscuro di ogni realismo. E sta al singolo intellettuale, di volta in volta fiutarlo.
Da questo punto di vista, de Jouvenel potrebbe essere definito un liberale triste, come Pareto, Croce, Aron, Röpke, Berlin perché fiducioso nell'individuo, ma malinconicamente consapevole delle leggi del politico e perciò di un fatto fondamentale: che si comanda alla politica ubbidendo alle sue leggi. Il che, va onestamente riconosciuto implica una controindicazione: il rischio di accettare, talvolta, i fatti compiuti. Pericolo che rappresenta il lato oscuro di ogni realismo. E sta al singolo intellettuale, di volta in volta fiutarlo.
Carlo Gambescia
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