La sinistra di Karl e...
Groucho Marx
Il titolo de “il manifesto” di oggi sui tagli a cinema e musica, è veramente esemplare. Di che cosa? Di certa sinistra incapace di capire due cose fondamentali: la prima, che la conoscenza (culturale), anche dei classici del cinema e della musica, non fa virtù (soprattutto politica) ; la seconda, che non è affatto vero che l’intervento pubblico, anche in ambito culturale, sia sempre buono e quello privato sempre cattivo.
Che
cosa intendiamo dire?
Uno, che il
progresso morale, ammesso che esista, non è alla portata di tutti:
migliorarsi richiede volontà, carattere e rispetto di se stessi. Parliamo
di virtù innate che sono patrimonio di pochi. E che, comunque sia, non tutti
sono capaci di interiorizzare e praticare il rispetto verso se
stessi. Insomma, per cambiare il sistema morale di un individuo non
basta farlo assistere, anche per cento volte, a una rappresentazione teatrale
finanziata dal ministero. Perché, ripetiamo, la crescita morale, ammesso che
sia possibile, è frutto di un impegno individuale, molto faticoso, che dura
tutta la vita. E quanti possono esserne capaci?
Due, lo stato,
anche quello democratico, proprio perché portatore degli interessi
dei partiti di maggioranza deve restare fuori dalla cultura, per non
trasformarla in cultura di parte, generando l' asservimento politico
dell'artista. Per contro, la logica della lottizzazione tra
maggioranza e minoranza non migliora le cose. Anzi... E il
caso italiano della Rai.tv è emblematico. E di peggio accade, per fare un altro
esempio, nei sistemi totalitari, dove lo stato-partito unico si fa
addirittura portatore e “inculcatore” (nel cittadino) di valori propri.
Siamo coscienti
di aver sollevato in poche battute una enorme quantità di problemi
antropologici e sociologici, probabilmente insolubili. Ma di una cosa siamo
certi: la cultura deve restare libera, dal momento che lo stato (o
se si preferisce il potere) con una mano dà, con l’altra toglie.
Basta con il socialismo-spettacolo che saltella tra i due
Marx: Karl e Groucho. E con le lagne sui mancati
finanziamenti pubblici dei compagni-redattori de “il manifesto”. E ancora
peggio con una visione "sindacal-lavorista" del
mondo dello spettacolo, innaturale portato di un finanziamento
pubblico, ottusamente rivolto "a creare posti di lavoro"
in un settore dove, a differenza di quello metalmeccanico,
si entra per
vocazione.
E se i privati -
qualcuno dirà - decidono di valorizzare una cultura puramente
"divertentistica"? Diciamo che si tratta di
un pericolo da accettare. La libertà, se deve
restare tale, non può rifiutare il rischio.
Anche perché qual è
l’alternativa ? Il pubblico censore che decide ciò che è bene o male per
ogni cittadino.
Carlo Gambescia
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