Giunge a Roma Victor Orbán per incontrare Giorgia Meloni: To Rome with Love, per dirla con il titolo di un film di Woody Allen. O forse è meglio così? To Bruxelles with hate…
In realtà, per l’Italia, l’Ungheria è un paese lontano e vicino al tempo stesso. Lontano per storia e tradizioni. Probabilmente l’ultimo richiamo interessante, dal punto di vista delle tradizioni liberali, rinvia, come una eco sempre più debole, alla figura ottocentesca di Lajos Kossuth, un combattente per l’indipendenza dagli Asburgo, una specie di Garibaldi, ben accetto alla sinistra risorgimentale italiana, di derivazione mazziniana o meno.
Invece l’Ungheria ci è vicina, soprattutto oggi, per la sintonia ideologica tra Viktor Orbán e Giorgia Meloni. Che si spiega con il fatto che, come per l'estrema destra italiana, anche la propensione ungherese per liberal-democrazia è sempre stata debole. L’Ungheria del Dualismo, all’interno dell’Impero asburgico, praticò un tipo parlamentarismo spurio e autoritario, dalle forti tinte nazionaliste, oppressore di altre nazionalità non magiare, più della metà, incluse nella parte ungherese, della Duplice Monarchia.
Tra le due guerre mondiali L’Ungheria subì la dittatura militare di Miklós Horty, reggente e ammiraglio in un paese senza sbocchi sul mare e con una monarchia in liquidazione. Poi nel dopoguerra L’Ungheria fu ferocemente “comunistizzata” dai russi. Infine dal 2010 è al comando Orbán che controlla i tre poteri classici (esecutivo legislativo, giudiziario) e il quarto e il quinto, diramazione del primo (mass media e forze di polizia). Anche l’economia si muove intorno a potentati economici a lui vicini, come un tempo i grandi proprietari terrieri lo erano intorno a Horty. Il comunismo statalizzò tutto e liquidò fisicamente gli antichi e voraci magnati.
Oggi l’economia ungherese, altamente concentrata, si regge, come detto, sulla basi di un patto tra Orbán e i gruppi economici nati dalle privatizzazioni post comuniste, ovviamente guidate dall’alto. Per usare un’espressione trita ritrita. in Ungheria non si muove foglia che Orbán non voglia.
Sulla reazionaria ideologia professata da Orbán e dal suo partito Fidesz, tornata in voga tra le destre (cristiano-integralista, razzista, nazionalista, cesarista e plebiscitaria) inutile spendere altre parole. Il peggio che si trova in città…
Questo discutibile personaggio politico, dal 1 di luglio sarà
presidente di turno Ue. L’incontro romano con Giorgia Meloni, di
istituzionale ha ben poco. Le destre reazionarie (perché nemiche
della modernità liberale) puntano a condizionare le prossime nomine
Ue.
Il che sarebbe perfettamente normale, quasi di routine, se al posto
di Giorgia Meloni e Viktor Orbán vi fossero due leader
liberal-democratici, ma purtroppo così non è. Come in certi incubi passato e presente sembrano mescolarsi. Non è certamente un buon segno che non pochi giornali e siti abbiano rispolverato il temine "asse".
Il punto è che la democrazia non offre garanzie sulla democraticità di coloro che vincono le elezioni. Che, come prova la storia del Novecento, possono tranquillamente essere nemici della democrazia che usano i mezzi della democrazia, per poi, una volta al potere, cancellare la democrazia. Ed è quello che sta facendo Orbán in Ungheria, dove la cosa è più semplice per le scarse tradizioni democratiche e liberali di quel paese. E come tenta di fare Giorgia Meloni, in Italia, patria del fascismo.
Al lettore attento non può essere sfuggito il fatto che abbiamo
parlato di tradizioni democratiche e… liberali. E questo per una
semplice ragione: se la democrazia non è liberale, il rischio che si
corre è quello di vedere respinti i valori di libertà, attraverso
strumenti come il plebiscito, quindi in modo ufficialmente
“democratico”. Per dirla altrimenti: necrofori sono democratici,
funerale di classe, ma alla democrazia.
Cosa vogliano dire? Che il liberalismo, tra le altre cose, è la barriera che impedisce alle maggioranze di opprimere le minoranze, agguantando un potere assoluto che non è liberale né democratico.
Orbán è al potere, e saldamente, da quattordici anni, la Meloni, appena da due, ma come prova ad esempio la legge sul premierato, non cederà tanto facilmente.
Si dirà, ma allora il lungo governo del centro-sinistra dopo Berlusconi? Il decennio craxiano? Il trentennio democristiano?
La verità è che nessuno dei predecessori di Giorgia Meloni aveva lo scheletro di Mussolini nell’armadio. Il “duce” non era né un democratico né un liberale. Fini, nel suo piccolo, molto piccolo, aveva provato a fare pulizia. La Meloni, da ex missina, rivendica. Oppure tace. E, come dice il saggio, chi tace acconsente.
Che tempi. Dover scrivere dei progetti di Giorgia Meloni e Viktor Orbán, che si incontrano a Roma. Dover spiegare la differenza tra liberalismo e democrazia, e soprattutto della loro necessaria inseparabilità. Cose lapalissiane, in una società normale, moderna e per l’appunto liberal-democratica.
Che malinconia. Inchiostro e (quasi) lacrime.
Carlo Gambescia
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