Il 4 giugno 1944 entrarono in Roma le truppe dell’alleanza antifascista. Accolte festosamente dalla popolazione, impaurita e affamata, che aveva subito quasi un anno di ferrea occupazione. Due giorni dopo, il 6 giugno, gli Alleati sbarcarono in Normandia.
Due date, soprattutto la seconda, fondamentali. Il mito di Roma, pur contaminato dalla retorica fascista, aveva mantenuto comunque un enorme valore simbolico. Lo sbarco sul suolo francese, fu un capolavoro strategico e militare, perché segnava l’inizio della fine per la Germania nazista.
Su quest’evento riflettevamo in particolare, a proposito della tesi, largamente diffusa tra i pacifisti europei, nelle cui fila, quando si dice il caso, scorgiamo schierate, nascoste sotto pelli di agnello destra e sinistra antiamericane. Si discute, avanzando proposte, sulla presunta necessità di conservarsi terzi su tutti i piani (geopolitico, militare, politico, culturale, economico, cognitivo), dinanzi alle crisi mondiali in atto nel Medio Oriente e in Ucraina.
È di ieri la dichiarazione della Schlein sulla maggiore autonomia europea da una Nato, ormai inutile, perché eccetera, eccetera. Tesi del resto sostenuta dai pacifisti di sinistra alla Bonelli. Una posizione terzista che sembra unire l’intera sinistra dal Partito Democratico ai neo-terzomondisti del Movimento Cinque Stelle.
Atteggiamenti politici che, quanto ad antiamericanismo più o meno dichiarato, fanno il paio con quelli di una destra che insiste sulla necessità dell’ “esercito europeo”, come ad esempio Giorgia Meloni, quasi fosse cosa per domani mattina. Per non parlare del mellifluo pacifismo di Salvini o delle cavillose argomentazioni di Tajani sul vincolante uso difensivo delle armi fornite all’Ucraina. Risparmiamo ai lettori le ridicolaggini del neofascismo filorusso, improvvisamente tramutatosi in amico della pace universale.
Il “terzismo”, come presa di distanza dai contendenti, in particolare se untuosamente pacifista, elude una questione fondamentale: quella del giudizio storico sulle radici moderne del mondo contemporaneo. Ci spieghiamo meglio.
Dal punto di vista metapolitico tra la Seconda guerra mondiale e la Seconda guerra punica non c’è alcuna differenza. Lo studioso vede all’opera le stesse regolarità (ad esempio quella amico-nemico). Come pure scorge nei valori in conflitto (altra regolarità), forme di giustificazione-razionalizzazione delle rispettive e contrapposte posizioni ideologiche.
Sintetizzando, fare metapolitica teorica, quindi scienza, significa studiare il comportamento politico degli esseri umani come in laboratorio e rilevarne le regolarità “di esecuzione”.
Regolarità, nel senso di comportamenti che si ripetono dal punto di vista formale, introducendo limiti e margini di prevedibilità. Laboratorio storico, ovviamente. Diciamo gli ultimi cinquemila anni. La cui intensa frequentazione, pur non ricorrendo a microscopi e provette, insegna allo studioso che spesso gli uomini perseguono una cosa, per poi ottenerne un’ altra, magari indesiderata. Quindi la metapolitica esclude ogni determinismo previsionale. Diciamo che la metapolitica riconosce alla storia un ruolo ironico, perché si beffa della prosopopea umana.
Sotto questo aspetto la posizione dello scienziato non può che essere terza. Al di sopra delle parti. L’uomo di scienza non si schiera, coltiva il dubbio, esamina i fatti storici, per scoprire le regolarità metapolitiche all’opera.
Dicevamo però del giudizio storico. Quando la Schlein e Salvini attaccano la Nato, non si comportano da metapolitici, ma da politici, quindi razionalizzano e giustificano, secondo le proprie posizioni politiche. Ma si potrebbe dire la stessa cosa anche di chiunque difenda la Nato.
Todos caballeros allora? Tutti uguali? Tutti alla pari? Qui entra in gioco il giudizio storico.
Disconoscere la natura liberatoria, nel senso di liberazione dal nazifascismo, dello sbarco in Normandia, significa mettere sullo stesso piano, diciamo “fisico”, l’occupazione della Francia da parte dei nazisti e dei fascisti nel 1940, con l’occupazione anglo-americana del 1944.
Certo, dal punto di vista metapolitico erano tutte “formichine” che si ammazzavano tra di loro (diciamo cosi), autogiustificandosi.
Però, dal punto di vista politico, principalmente in Occidente, da una parte c’era la liberal-democrazia dall’altra la dittatura. Cosa sarebbe stato del moderno mondo occidentale se avesse vinto il nazifascismo? Se avesse vinto la reazione? Se Hitler non avesse attaccato l’Unione Sovietica?
Si tratta di una domanda dalla risposta scontata, a meno che non si sia nostalgici del nazifascismo. Una risposta che implica un giudizio sulle radici occidentali e liberali della storia contemporanea. Che inizia, o se si vuole ricomincia, nel 1945, dopo la sconfitta del nazifascismo.
Qual è il succo del nostro discorso? Che se la terzietà ha un senso per lo studioso di metapolitica, non può sempre averla per il politico, o comunque per chiunque si occupi di politica. In quest’ultimo caso si potrebbe parlare di metapolitica dell’azione, che è l’esatto contrario della metapolitica come teoria, come scienza delle regolarità.
E qui, per contro, si pensi ai vari “gramscismi” di destra e di sinistra, che non sono altro che razionalizzazioni-giustificazioni rivolte alla conquista dell’egemonia prima intellettuale poi politica.
Un lavorìo da talpe, animali dalla vista debolissima, elevato erroneamente a metapolitica da alcuni pensatori. Uno scavo sotterraneo, insidioso perché occulto, non di certo alla luce del sole, che, come spiegato, è l’esatto contrario della metapolitica come teoria, cioè come scienza. Si pensi al kantiano “Sapere aude!”. Una vera sciabolata di luce.
Questa separazione tra metapolitica e politica può apparire fastidiosa. In realtà esiste un ponte, se si vuole un canale di comunicazione, tra metapolitica e politica. La metapolitica, come sapere critico, libero, indipendente, ironico, è in qualche misura un prodotto della modernità scientifica. Quindi della libertà dei moderni. Un luminoso lascito dell’Occidente euro-americano.
Cosa vogliamo dire? Che la metapolitica come teoria nel 1945 sbarcò insieme a quei ragazzi in Normandia. Già luce, si fece quindi azione. E alla luce del sole di Omaha beach. Ecco dunque il ponte. Onoriamoli.
Carlo Gambescia
Ma chi ha deciso che la storia inizia o ricominci nel 1945? Questa è una scelta che rispecchia dei valori, un desiderio fondativo, ma si potrebbe criticare anche dal punto di vista storiografico, infatti se consideriamo fattori di lungo o medio periodo che precedono e sopravanzano il secondo conflitto mondiale, faticheremo a fissare qui un punto, se non di comodo. I fascismi stessi, teoricamente parlando, furono una meteora nella loro virulenza, peraltro raggiunta solo negli anni '30 anche a seguito di una crisi globale innescatasi oltreoceano e di molte connivenze internazionali. Cosa voglio dire? Per onorare i morti di Omaha - pace all'anima loro, la terra gli sia lieve - più di altri morti, dovrei attribuir loro un valore salvifico compiendo un'azione che è ragionaevole trovare ingenua, anche senza essere antiamericani. Bisogna cioè voler coltivare un certo americanismo; forse il realista politico ne ha bisogno (ma sarebbe comunque un calcolo che scalda a fatica) e perciò fra tutte sceglie quella bandiera che più gli sembra incarnare gli ideali libertari, ma quanti occhi deve chiudere? Anche perchè o i primi della classe (prima anglo, poi americani) non sono stati all'altezza e quindi perchè continuare a dargli fiducia e non pensare altrimenti? Oppure sono sempre stati all'altezza (senza di loro mai avremmo sprigionato i nostri migliori istinti progressivi) ma si sono trovati sempre le forze del male ad avversarli (versione puerile, ma corrispondente all'americanismo), tra l'altro con noi centro/sud europei a fungere da senescenti generatori di male e stasi storica, per non parlare di ciò che sta ad oriente. Ce n'è abbastanza per me per respingere americanismo e antiamericanismo come opzioni logore e non celebrare nessun presunto "liberatore" e se questo significa passare per tiepidi, indifferenti, politicamente ignoranti e peggio, egoisti o traditori della patria al sinistro tartaro che risorge a oriente sia, così è, non è che tale sentire debba essere condivisa e diffuso, semplicemente fa parte di quello che si prova e si è...Il mondo va in maniera diversa, peggio per lui! Si sta nel mondo (realismo) ma non necessariamente si è del mondo. Sempre con rispetto e riconoscenza...Samuele
RispondiEliminaGrazie del commento Samuele (?). Nulla tolgo nulla aggiungo. Lei sostiene tesi contrarie alle mie. Bene così. E’ giusto che su questa pagina abbiano spazio anche “altre” tesi , soprattutto quando esposte con gentilezza e cultura. Un cordiale saluto.
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