Piero Sansonetti, direttore dell’ ”Unità”, si occupa di archeologia politica. Tecnicamente è un bravo giornalista, anche simpatico come persona, ma politicamente parlando è patetico. Il suo comunismo liberale (nel senso della costante attenzione verso i diritti civili) è un ossimoro, perché mette insieme costruttivismo statale ( pessimo) e spontaneismo individuale (ottimo). Il che porta inevitabilmente alla legificazione dei desideri. Detto altrimenti: al testo unico sulle misure regolamentari delle piume di struzzo indossate dalle drag queen.
Ma non è di questo che desideriamo parlare. Colpisce oggi l’articolo di Goffredo Bettini, che la politica conosce, per averla fatta, soprattutto sul piano locale (Roma e dintorni), senza mai trascurare gli sviluppi nazionali e addirittura internazionali. Dentro il Partito democratico è tuttora visto come una rispettabile vecchia volpe, oggi (pare) a riposo, ma capace di dire la sua.
L’articolo è su Enrico Berlinguer: l’11 giugno scoccano i quarant’anni dalla morte. Sicché Bettini, la volpe dell’agro romano, magari oggi spelacchiata, ha bruciato tutti sul tempo.
Però lo scritto non convince per due ragioni.
La prima è che sembra ignorare che il partito comunista, nel quale Bettini militò fin da giovane, era organizzato come un esercito, con i suoi generali colonnelli, ufficiali, sottufficiali, truppa. Tutti dediti alla causa. E con disciplina ferrea. Il comunismo, che sopravvisse vittorioso al fascismo, fu la sua prosecuzione con altri mezzi, soprattutto in Occidente. Dove i comunisti, parlamentarizzati obtorto collo, si dedicarono febbrilmente allo snaturamento-smantellamento del liberalismo, nel senso di usare anche la più innocua risorsa liberal-democratica, pur di affossare la liberal-democrazia. E di questo processo, alle origini del cosidetto populismo comunista populista, Berlinguer fu complice. Ancora nel 1977 celebrava come modello sociale il Vietnam comunista, indicato come esempio di società sobria.
La seconda ragione rinvia alla celebrazione del gigantismo morale di Berlinguer. In particolare al valore della sua “dedizione agli ideali della gioventù, che mai ha abbandonato, con una coerenza degna di epoche passate”. C’è un patetico accenno ( a proposito di prosecuzione del fascismo con altri mezzi) all’omaggio post mortem di Almirante. Naturalmente i “fratelli in camicia nera” alla morte di Almirante ricambiarono. Gli estremi antiliberali, si toccano sempre. Banalità politica, ma superiore.
Ora, fede, onestà, dedizione, sono scatole vuote. Tutto dipende dal contenuto politico. Almirante, visto che siamo in argomento, fu un uomo onesto, che dedicò la sua vita al Movimento Sociale. Però fu anche un convinto fascista. Un nemico della liberal-democrazia. Così come Berlinguer, "gigante" morale, fu un altrettanto convinto comunista. E altrettanto nemico della liberal-democrazia. E sul punto dell’onestà e dedizione, come scatole vuote e contenuti tossici, si potrebbe risalire fino a Lenin, altro asceta politico, e Mussolini, che, come ricorda De Felice, fu di un’onestà personale assoluta.
Bettini continua a giocare , facendo del male alla sua intelligenza e all’altrui buona fede, sulla pericolosa mescolanza tra fedeltà politica e idea politica. Grave errore: anche i terroristi di destra e di sinistra erano fedeli alle loro idee politiche. Al punto di uccidere e farsi uccidere.
La fedeltà, se mal riposta, come nel caso di Berlinguer ed Almirante, che mai abbandonarono “gli ideali di gioventù”, fa più male che bene agli elettori. Può avere contenuto cardiotossico. Avvelena i cuori politici, neri o rossi che siano.
Giorgia Meloni non rivendica forse oggi la coerenza missina? Non parla bene di Almirante? Proprio come Goffredo Bettini rivendica la coerenza comunista e berlingueriana.
Che malinconia.
Carlo Gambescia
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