Come al solito la sinistra non ha capito nulla. Ieri, in Albania, a contestare Giorgia Meloni, c’era un solitario deputato radicale, Riccardo Magi, tra l’altro malmenato dalla polizia. A lui vanno i nostri complimenti.
E come ha contestato? Evocando la violazione dei diritti di libertà e delle regole della società aperta, e non lo scambio economico tra sanità e hotspot (così ora si chiamano i campi di concentramento per i migranti), tipico di una visione populista della politica, che oggi accomuna destra e sinistra.
Perché, attenzione, qui il vero problema è il “giro elettorale”della Meloni. Il presentare come cosa normale il taglio del nastro, diciamo così, di un campo concentramento per migranti.
Il vero problema è la “banalità del male”. Cioè che sia diventata materia di spot elettorale la segregazione fisica. Nessuno sembra più accorgersi, neppure la sinistra ( che critica lo spot, non la “normalità” dello spot), del fatto che con la destra al potere, una destra dalle radici fasciste, la segregazione del migrante sia diventata un fatto normale. Materia di spot, per l’appunto. Giorgia Meloni ha addirittura parlato di “modello per l’Europa”. Si chiama anche psicologia del secondino, Cioè, dal punto di vista tecnico, diventa una “genialata” – si immagini la Meloni darsi di gomito con il cognato, il ministro Lollobrigida – trasferire all’estero i campi di concentramento. Per così dire, lontano da occhi indiscreti...
Qui siamo oltre la questione morale o di principio, e diremmo il comune senso del pudore politico. Con i migranti si fa così, si segregano, è la normalità. Inutile interrogarsi sul perché il sole sorga e tramonti tutti i giorni: è così, accade, è la norma. Avanti tutta.
Si osservi la foto di copertina. È veramente inquietante lo sguardo soddisfatto di Giorgia Meloni dinanzi a una proiezione digitale, non di un asilo nido ma di un campo di concentramento. In quello sguardo si scorge la fine della civiltà liberale. C’è qualcosa di hitleriano. La rivincita nazifascista sui valori del 1945. E andando ancora più indietro sulla modernità liberale: modernità che ha fatto grande il mondo.
Come potremo in futuro, per così dire, guardare negli occhi Putin e la sua Moscova premoderna, esempio di società chiusa, se ne abbiamo adottato la stessa visione antiliberale? Come potremo aiutare l’Ucraina a respingere l’invasore russo, se siamo i primi a non credere nei valori della società aperta ?
Il realismo politico, o se si preferisce metapolitico, nel senso riportato nei nostri libri, non implica l’esclusione di un giudizio sulla storia moderna. Giudizio che non è un pio desiderio o una qualche forma di revisionismo storico. È nelle cose. Insomma, non parliamo di un’opinione come un’ altra, ma del portato fattuale di un processo storico, in larga misura inconsapevole, frutto di milioni se non miliardi di interazioni tra individui, che ha condotto, per spontanea selezione istituzionale, alla moderna società aperta. Siamo diventati liberali e moderni senza saperlo e neppure volerlo. Prima sono venuti i fatti poi valori.
Valori difesi strenuamente, e in modo allora consapevole, nel 1939-1945. La fine della Seconda guerra mondiale con la scoperta dei campi di concentramento e di sterminio, costruiti dai seguaci della società chiusa, un’autentica frattura storica, sancì simbolicamente un nuovo inizio, la guarigione, una nuova ripresa dei valori moderni e liberali. La vittoria della società aperta attaccata dalle forze della società chiusa. Bene contro male? Sia pure. Ecco la grande lezione del 1945: mai più campi di detenzione e filo spinato, e non importa se ora è digitale. Non era ed è male questo?
Invece cosa accade? Che i seguaci della società chiusa sono tornati al potere. Promettono agli elettori, proprio come Hitler, pace e lavoro in cambio di qualche milione di capri espiatori da fare fuori, allora gli ebrei e altre povere minoranze, oggi i migranti.
E quel che è peggio è che questo diabolico do ut des, viene considerato, non solo dai mandanti e dagli esecutori, ma dalla gente comune, come la cosa più normale del mondo. Intorno ai campi di concentramento albanesi regna una specie di naturale silenzio. È così, si fa così, avanti così.
Non serve grande immaginazione per pensare che Giorgia Meloni, che di giorno visita i campi di concentramento, pardon gli hotspot, la sera, tornata a casa, giochi con sua figlia e con il cane magari. Dolcissima mamma. Si chiama banalità del male.
Ed è già accaduto.
Carlo Gambescia
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