Le amministrative sono andate male. E in Europa non è andata meglio. E allora Giorgia Meloni che fa? Ricomincia a fare la vittima: mi si minaccia di fare la fine del duce. Si evoca Piazzale Loreto. Tecnicamente si chiamano armi di distrazione di massa.
E sul punto anche la sinistra, come vedremo, ha le sue gravi responsabilità. Però, a dire il vero, tanto a destra quanto a sinistra, non si tratta solo di vile retorica post elettorale. Piazzale Loreto è una specie di storia infinita. E spiegheremo perché.
Intanto, per quale ragione la sinistra non si fida di Giorgia Meloni? Perché – oggettivamente – Fratelli d’Italia è un partito che non hai mai fatto i conti con il fascismo. La sensazione, per un osservatore che scruti l’Italia dalla Luna, è di avere sotto gli occhi un partito che al momento non è fascista né liberal-democratico. Che però non fa alcuno sforzo, come prova il linguaggio della Meloni su Piazzale Loreto, per uscire dal guado in cui si trova. Diciamo che le tentazione fascista è forte, ma non se ne parla, mentre quella liberal-democratica è più apparente che reale. Nessuna conversione. Ma più semplicemente solo una serie di decisioni opportunistiche, non sentite, per conservare il potere sotto la pressione degli eventi. Si potrebbe parlare di una democrazia accettata per necessità (di potere), e pronta ad essere usata contro la democrazia.
Facciamo un esempio. Un leader liberal-democratico (no liberal, attenzione), se intervistato su piazzale Loreto, direbbe di vedere nello scempio il chiudersi di un ciclo politico, iniziato nella violenza cieca e finito in una violenza, altrettanto cieca. Semplificando: chi semina vento raccoglie tempesta. Inevitabile.
Giorgia Meloni invece, vi scorge solo la fine del ciclo, scollegata però dalla violenza inziale. E questo perché non ha mai fatto i conti con il fascismo. Perciò non accetta l’idea della inevitabile violenza finale racchiusa fin dall’inizio nelle uova del serpente.
Qualcuno potrebbe dire che le "uova" furono "covate" anche dalla sinistra. Certo, ma si era comunque fuori dai principi liberal-democratici, rivolti alla neutralizzazione della violenza politica. Si dirà "solo" nei principi. Certo, ma non è poco sul piano delle rispettive idee regolative. Perché è proprio questo fattore culturale che segna la differenza tra liberalismo da una parte, e fascismo e comunismo dall'altra.
Estremizzando i concetti, per Giorgia Meloni, la Repubblica non è fondata sul lavoro, ma su un atto di ingiustizia: l’assassinio e il pubblico dileggio dei cadaveri del duce e di chi era con lui.
Anche la sinistra, attenzione, quando evoca Piazzale Loreto, non vi scorge l’inevitabile chiusura, diciamo da sociologia liberal-democratica (crociana se si vuole), di un ciclo basato esclusivamente sulla violenza. Cioè della chiusura di una storia e sociologia naturali del fascismo (per riprendere Hume). Ma vi vede un atto di giustizia umana. Un’ irruzione del Dea bendata nella storia. Per la sinistra la Repubblica è fondata sul lavoro e su un atto di giustizia: l’esecuzione del duce e l’ esemplare esplosione di sana rabbia popolare.
Di conseguenza i lanci e i rilanci retorici, tra destra e sinistra, rinviano alla mancanza di un approccio liberal-democratico alla questione di Piazzale Loreto. Non c’è maturità liberale né a destra né a sinistra.
In sintesi: è vero, come dicevamo, che la sinistra non si fida di Giorgia Meloni, anche giustamente. Però a Piazzale Loreto atto di ingiustizia continua a opporre la versione Piazzale Loreto atto di giustizia. Invece di accogliere, una volta per sempre, la filosofia sociale liberal-democratica, per dirla alla buona, del chi semina vento raccoglie tempesta. Frutto di una sana neutralizzazione della politica in chiave sociologica, se si vuole metapolitica (come scienza delle regolarità, eccetera, eccetera).
In definitiva, destra e sinistra si muovono nell’ambito di una filosofia giustizialista della storia italiana.
Di conseguenza Giorgia Meloni, si crede un martire della storia, e la sinistra, invece, giudice della storia.
E così via, all’infinito, giocando con il fuoco della guerra civile…
Carlo Gambescia
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