venerdì 3 maggio 2024

La partita a poker tra Russia e Occidente

 


Uno dei libri tuttora più interessanti sulle origini della Seconda guerra mondiale, rimane quello di Alan John Percivale Taylor (*), brillantissimo storico britannico scomparso nel 1990.

Un volume uscito nel 1961, già allora in aperta controtendenza, che, pur non sorvolando sulle responsabilità di Hitler, evidenziava quelle delle potenze democratiche, in particolare, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Il libro piacque agli ex nazisti, perché sembrava attenuare le responsabilità di Hitler. In realtà Taylor, ripetiamo, non assolveva Hitler.

Allora, per lo storico, quale errore fu commesso dall’Occidente nei riguardi del dittatore nazista? Quello di mostrarsi arrendevole e disunito, al punto di  incoraggiarne l’ appetito geopolitico.

Hitler, al di là dei bellicosi propositi racchiusi nel Mein Kampf, era soprattutto un abile giocatore d’azzardo. Hitler, bleffava, cioè sviluppava la sua politica, che comunque era di potenza, giorno per giorno, sulla base delle reazioni delle nazioni democratiche alle sue sfide. Approfittando – qui la sua abilità – della loro disunita volontà di pace.

Se si rileggono le dichiarazioni hitleriane, si scopre che dopo ogni crisi, addirittura fino all’invasione della Polonia (1939), evocava una assoluta  volontà di pace. Chiedeva solo – così dichiarava – giustizia per la Germania. Non voleva altro, per poi tornare con tutto il  popolo tedesco alle normali e pacifiche attività civili.

In realtà, osserva Taylor, Hitler non aveva mai rinunciato a estendersi, a partire dall’ Est europeo.  Il dominio dell’Europa e in seguito  del mondo era in agenda, ma ci si doveva arrivare per gradi e non nel 1939. 

Fu la debolezza mostrata dall’Europa, dopo ogni crisi, e in qualche misura anche dall’Unione Sovietica, che venne a patti con Hitler (1939), che incoraggiarono il dittatore a colpire la Polonia (1939), sicuro di farla nuovamente franca. 

Taylor smonta, da par suo, il Memorandum di Hossbach (1937). Un documento che invece per altri storici, non meno capaci, proverebbe la irrevocabile decisione hitleriana  di fare la guerra. Non ci infiliamo in questa diatriba.

A noi interessa un’altra cosa. Taylor ci spiega che le guerre – in particolare la Seconda – spesso sono frutto di effetti perversi delle azioni politiche. Magari si vuole la pace, o comunque la si evoca, dall’una e dall’altra parte come negli anni Trenta del Novecento però, nonostante le buone intenzioni, ieri come oggi,  la guerra rischia  di scoppiare lo stesso.

Taylor non offre risposte definitive, non crede nelle guerre preventive, né preparate a tavolino, però fa capire, che, se fin dal 1931 ( invasione e attacco del Giappone alla Cina), le potenze democratiche, anche attraverso la Società delle Nazioni, si fossero mostrate più ferme nei propositi di pace e soprattutto solidali tra di loro, includendo addirittura la Russia sovietica, Hitler avrebbe moderato i toni e soprattutto gli atti. La guerra, allora sarebbe scoppiata prima? No, perché buoni e cattivi (diciamo così), non erano ancora preparati militarmente.

Non siamo del tutto d’accordo con le conclusioni di Taylor. Però se le potenze democratiche, non avessero agito in ordine sparso (sperando addirittura nella collaborazione di Mussolini e disdegnando quella di Stalin, fino al giugno del 1941), forse Hitler avrebbe trovato sulla sua strada più ostacoli. E chissà.

Ovviamente non si può fare storia con i “se”. Resta però interessante, a prescindere dalla questione delle responsabilità hitleriane (che, come detto, Taylor estende alla potenze democratiche), la griglia del “tavolo da gioco”, che si può ricavare dalla superba ricostruzione di Taylor. Che, inevitabilmente, rinvia a una partita al poker.  E in particolare alla capacità di bleffare dei giocatori.  Fermo restando – il lettore prenda appunto – che, come in ogni partita di  poker,  alla fine deve esservi lo showdown: quando i giocatori, residuali  o meno, devono mostrare le proprie le carte.

Si trasponga questa griglia (pokeristica) alla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina e ci si domandi chi bleffa. La Russia? L’ Ucraina? La Nato? L’Unione Europea? Gli Stati Uniti? Chi alza la posta, di volta in volta? E soprattutto che razza di partita a poker può essere? Se Mosca, fa capire, quasi da inizio partita, minacciando l’uso dell’arma atomica, che non è interessata a mostrare le sue carte?  Niente showdown insomma.

In realtà la vera domanda è un’altra? Non è forse la stessa minaccia atomica russa  una forma di bluff?  Che senso ha sedersi al tavolo da poker, sapendo che non ci saranno né vinti né vincitori? Che gusto c’è per la libido dominandi russa?   Che rimane la regolarità basica di ogni analisi metapolitica sulla persistenza del potere e del ciclo politico?

Crediamo perciò che la Russia stia bleffando. E come lo si può scoprire? Andando fino in fondo. E qui occorre che gli sfidati, l’Occidente, condividano la stessa volontà di showdown: di comprensione delle “regolarità” del poker metapolitico. Insomma serve un Occidente unito. Andare in ordine sparso è pericoloso. Pensiamo a certe dichiarazione interventiste di Macron o di segno contrario, degli italiani ad esempio.

Qui si torna – in parte – alla tesi di Taylor a proposito della disunione delle potenze democratiche che favorì l’escalation nazista. Cioè quei bluff successivi hitleriani che condussero il mondo alla guerra mondiale, volenti o nolenti il dittatore e le nazioni democratiche.

Conclusioni. Un’altra guerra mondiale può essere scongiurata solo scoprendo il bluff di Mosca. Andando allo showdown . E come sarà possibile? Ripetiamo, ci si deve sedere al tavolo di una specie di poker, metapolitico, di guerra,  e giocare fino in fondo. Uniti s’intende.

Carlo Gambescia

(*) A.J.P. Taylor, Le origini della Seconda guerra mondiale, Editori Laterza 1972.

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