Una risposta a Luciano Hodnik
Sardine e partecipazione politica
La
partecipazione politica è un bene o un male per le nostre società
liberal-democratiche? Ecco il quesito che mi sono posto dopo aver letto
il commento di Luciano Hodnik al post sulle “Sardine” (*).
Innanzitutto, cosa si intende per partecipazione? Semplificando: 1) manifestare, nel senso di scendere in piazza, protestare; 2) votare,
nel senso di deporre la scheda nell’urna; 3) candidarsi alle elezioni, nel senso di concorrere. Sviluppando i concetti di Hirschman: Voice, Vote, Run for Office.
Il
voto, nei due aspetti del diritto di
elettorato passivo e attivo (Vote e Run for Office), è
indubbiamente una forma di partecipazione. Diritto che però, non va considerato come un obbligo
o un dovere, perché una società
liberale, non può non contemplare il diritto di astenersi. L’obbligatorietà del
voto, sebbene recepita da alcune democrazie, ha un risvolto autoritario, ancora prima che politico, di natura cognitiva: si rinvia a un' idea panpolitica
dell’uomo, molto novecentesca di tipo
leninista o fascista. In realtà, la politica è solo una delle tante
sfere sociali in cui è immerso l’ uomo. Sia detto questo, con tutto il rispetto
per Aristotele, che però aveva sotto gli occhi la democrazia olistica degli antichi. Il privato non è mai politico. Può invece
essere “sociale” in senso interattivo, della deferenza, della cooperazione,
dell’intersecazione degli interessi individuali, eccetera, eccetera.
E
manifestare (Voice) ? Dipende. Quando
si manifesta contro il Parlamento o
contro una forza politica legittimamente presente nelle aule, la manifestazione ha un chiaro contenuto antidemocratico e soprattutto
antiliberale, perché le istituzioni parlamentari sono il cuore della democrazia
liberale. Pertanto non tutte le
manifestazioni di piazza sono un segno
di vitalità liberal-democratica. Anzi.
Si
pensi ad esempio alla nuova legge sulla
prescrizione, frutto di una cultura giustizialista, quindi illiberale. Tuttavia in pochi sono scesi in piazza a dar man forte agli avvocati per protestare contro una
legge che in pratica viola il sacro
principio della presunzione di
innocenza. Sembra che gli italiani,
tacendo, acconsentano...
Per
contro, come nel caso delle Sardine, si manifesta, e con buon seguito, contro Salvini, regolarmente eletto, sottintendendo che
dovrebbe essere defenestrato, per ora con il voto, perché pericoloso per la democrazia. Mentre, sempre Salvini, non sembra essere un pericolo
per quasi la metà degli italiani, disposti a scendere in piazza per il "Capitano". Anch'essi, quindi, paiono acconsentire...
Perciò,
manifestare in sé, ha il valore di uno scatolone vuoto, dipende da quel che vi
si mette dentro. Pertanto scendere in piazza
può avere un valore ginnico, di esercizio fisico. Una boccata d’aria pura fa
sempre bene. Il vero problema dipende
dai contenuti. Che a loro volta variano,
perché dipendono dalla prospettiva
politica di chi giudica: pro o contro la presunzione di innocenza; pro o contro
Salvini. Insomma, il sì contro il no. Ovviamente, gridato. Nessuna mediazione. Che invece è tipica della riflessione parlamentare.
Inoltre, cosa fondamentale, la liberal-democrazia, come accoppiamento giudizioso di principi liberali e democratici (di parlamento e libero voto, il che spiega il trattino...), implica attraverso il meccanismo dei partiti, la rotazione tra maggioranza e
opposizione. Ciò significa che
l’elettore può cambiare indirizzo
politico votando per il partito in grado di rappresentare meglio le sue idee e/o interessi. Sotto questo aspetto, nella liberal-democrazia
la partecipazione ha la sua consacrazione non nelle piazze rumorose ma nel silenzio della cabina elettorale. Insomma, nella certezza politica di potere, con il
voto, ripetiamo, mutare l’indirizzo del
governo. E quindi favorire la circolazione delle élite politiche.
Sintetizzando:
liberal-democrazia è Vote contro Voice. Ciò non significa che le manifestazioni di
piazza debbano essere vietate. Ci mancherebbe altro. Significa che non vanno idealizzate
e soprattutto gestite con giudizio dagli stessi partiti. Sempre che si voglia rimanere all'interno della
liberal-democrazia.
In
Italia, invece, destra e sinistra,
soprattutto estreme, hanno sempre usato le piazze contro il parlamento dilatando e degradando il
concetto di partecipazione a
pronunciamento cesarista.
Il fascismo e il comunismo con le loro idee,
rispettivamente, di una democrazia organica
di massa e di una democrazia
assembleare, ovviamente, con sottobanco correttivi gerarchici e leninisti, non
hanno facilitato, se non addirittura impedito soprattutto nel primo caso, la diffusione di una cultura liberal-democratica.
Naturalmente, anche i partiti democratici hanno le loro responsabilità. Nessuno è perfetto.
Però,
sia come sia, in Italia, la
partecipazione ha sempre avuto e ha un
contenuto antiparlamentare nel termine di una specie di giudizio di dio.
Con
la svolta populista la “piazza” è addirittura penetrata nel cuore della
liberal-democrazia: il parlamento. E i
pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ora,
come si legge, sembra che anche le Sardine vogliano trasformarsi in
partito... Qualsiasi
altro commento è superfluo.
Carlo Gambescia
(*) Qui il mio articolo: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2019/12/le-sardine-e-le-contraddizioni.html