venerdì 6 dicembre 2019

Una risposta a Luciano Hodnik
Sardine e partecipazione politica




La partecipazione  politica  è un bene o un male per le nostre società liberal-democratiche?  Ecco  il quesito che mi sono posto dopo aver letto il commento di  Luciano Hodnik al  post sulle “Sardine” (*). 
Innanzitutto,  cosa  si intende per partecipazione?  Semplificando: 1) manifestare,  nel senso di scendere in  piazza, protestare;  2) votare, nel senso di deporre  la  scheda nell’urna; 3) candidarsi alle elezioni, nel senso di  concorrere.   Sviluppando i concetti di Hirschman: Voice, Vote, Run for Office.   

Il voto, nei due aspetti  del diritto di elettorato passivo  e attivo (VoteRun for Office),  è indubbiamente una forma di partecipazione. Diritto  che però, non va considerato come un obbligo o un dovere,  perché una società liberale, non può non contemplare il diritto di astenersi. L’obbligatorietà del voto, sebbene recepita da alcune democrazie, ha un risvolto autoritario, ancora  prima che politico,  di natura  cognitiva: si rinvia a un' idea panpolitica dell’uomo, molto novecentesca di  tipo leninista o  fascista.   In realtà, la politica è solo una delle tante sfere sociali in cui è immerso l’ uomo. Sia detto questo, con tutto il rispetto per Aristotele, che però aveva sotto gli occhi la democrazia olistica  degli antichi.  Il privato non è mai politico. Può invece essere “sociale” in senso interattivo, della deferenza, della cooperazione, dell’intersecazione degli interessi individuali, eccetera, eccetera.      
E manifestare (Voice) ? Dipende. Quando  si manifesta contro il Parlamento o contro una forza politica legittimamente presente nelle aule,  la manifestazione ha un chiaro  contenuto antidemocratico e soprattutto antiliberale, perché le istituzioni parlamentari sono il cuore della democrazia liberale.  Pertanto non tutte le manifestazioni di piazza  sono un segno di vitalità liberal-democratica. Anzi.
Si pensi ad esempio  alla nuova legge sulla prescrizione, frutto di una cultura giustizialista, quindi illiberale. Tuttavia   in pochi  sono  scesi  in piazza  a dar man forte agli avvocati per  protestare contro una legge che in pratica viola il sacro  principio  della presunzione di innocenza. Sembra che  gli italiani, tacendo, acconsentano...  
Per contro, come nel caso delle Sardine, si manifesta, e con buon seguito, contro Salvini,  regolarmente eletto, sottintendendo che dovrebbe essere defenestrato, per ora con il voto,  perché pericoloso per la democrazia.  Mentre, sempre Salvini,  non sembra  essere   un pericolo  per  quasi la metà degli italiani, disposti a scendere in piazza per il "Capitano".  Anch'essi,  quindi, paiono acconsentire...     

Perciò, manifestare in sé, ha il valore di uno scatolone vuoto, dipende da quel che vi si mette dentro.  Pertanto scendere in piazza può avere un valore ginnico, di esercizio fisico. Una boccata d’aria pura fa sempre bene. Il  vero problema dipende dai contenuti.  Che a loro volta variano, perché  dipendono dalla prospettiva politica di chi giudica: pro o contro la presunzione di innocenza; pro o contro Salvini. Insomma,  il sì contro il no. Ovviamente,  gridato.  Nessuna mediazione. Che invece è tipica della riflessione parlamentare.
Inoltre, cosa fondamentale,  la liberal-democrazia, come accoppiamento giudizioso di principi liberali  e democratici (di parlamento e libero voto, il che spiega il trattino...), implica attraverso il meccanismo dei partiti, la rotazione tra maggioranza e opposizione.   Ciò  significa che  l’elettore può  cambiare indirizzo politico  votando  per il partito  in grado di rappresentare meglio le sue idee e/o interessi.  Sotto questo aspetto, nella liberal-democrazia  la partecipazione ha la sua consacrazione non nelle  piazze rumorose ma  nel silenzio della cabina elettorale.  Insomma,  nella certezza politica di potere, con il voto, ripetiamo,  mutare l’indirizzo del governo. E quindi  favorire la circolazione delle élite politiche.
Sintetizzando:  liberal-democrazia è   Vote  contro  Voice.  Ciò non significa che le manifestazioni di piazza debbano essere vietate. Ci mancherebbe altro. Significa che non vanno idealizzate e soprattutto gestite con giudizio dagli stessi partiti.  Sempre che si voglia rimanere  all'interno della liberal-democrazia.     
In Italia, invece, destra e  sinistra, soprattutto estreme, hanno sempre usato le piazze contro  il parlamento dilatando e degradando   il concetto  di partecipazione a pronunciamento cesarista. 
Il fascismo e il comunismo con le loro idee, rispettivamente,   di una democrazia  organica  di massa e  di una democrazia assembleare, ovviamente, con sottobanco correttivi gerarchici e leninisti,   non hanno facilitato, se non  addirittura impedito soprattutto  nel primo caso, la diffusione  di una cultura liberal-democratica.

Naturalmente, anche i partiti democratici hanno le loro responsabilità.  Nessuno è perfetto.
Però, sia come sia, in  Italia, la partecipazione  ha sempre avuto e ha un contenuto antiparlamentare nel termine di una specie di giudizio di dio.  
Con la svolta populista  la “piazza”  è addirittura penetrata nel cuore della liberal-democrazia: il parlamento.  E i pessimi risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Ora, come si legge,  sembra che anche le Sardine vogliano trasformarsi in partito...  Qualsiasi altro commento è superfluo.

Carlo Gambescia