Il
libro della settimana: Umberto Levra (a cura di) Cavour, l’Italia e l’Europa, il Mulino, pp. 268, euro 20,00.
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La
figura di Cavour ha sempre affascinato gli stranieri, certo non come quelle di
Garibaldi e Mazzini, ma di sicuro rimane lo statista italiano più noto e
apprezzato all’estero. Naturalmente, non
sappiamo se questa fama sia dovuta a quella non proprio eccelsa dei successori.
Benché, per restare nella tradizione liberale
e democratica, personaggi delle levatura di Giolitti e De Gasperi non demeritino
affatto.
Non
si vuole però proporre alcun sondaggio. Più semplicemente desideriamo parlare del bel volume, curato da
Umberto Levra, Cavour, l’Italia e
l’Europa (il Mulino, 2011, pp. 268,
euro 20,00). Un testo che raccoglie le relazioni presentate all’omonimo convegno , tenutosi a Torino il 6-7 ottobre
2010. E che relazioni! Siamo davanti a
un’ottima messa punto dello sfondo culturale, del pensiero e dell’opera,
nonché dell’immagine del Conte
in Francia, Inghilterra e Germania.
Iniziamo
da quest’ultimo aspetto, e in particolare dalla Germania, attingendo dal
contributo di G.B. Clemens. Una
terra dove, a differenza di Francia e
Inghilterra, già unite da secoli, il
liberalismo ebbe forti caratteristiche
patriottiche e politiche. Di qui, per simpatia, una migliore comprensione del liberalismo
nazionale cavouriano, come, ad
esempio, nell’opera dello storico
Heinrich von Treitschke. Il quale dedicò al Conte una celebre monografia
ottocentesca. Osserva Treitschke : «La cosa più utile, che potrei scrivere ora, sarebbe senza
dubbio, un saggio su Cavour (…). Una presentazione di quest’uomo potrebbe
mostrare al nostro pubblico in modo più efficace di ogni disquisizione generica
in che cosa consista la
Realpolitik geniale».Insomma, un vero tributo.
Per
contro, Cavour, soprattutto in Francia e
Inghilterra (più in Francia però…), era
inviso a cattolici, legittimisti, democratici e
rivoluzionari. Di qui, minore simpatia
e, di riflesso, giudizi meno lusinghieri.
Quanto
al liberalismo « pragmatico» cavouriano
va segnalato l’interessante contributo di Luciano Cafagna (Libertà di mercato e modernizzazione
economica in Cavour). Perché? Cafagna ricorda un intrigante giudizio di un grande storico dell’economia
italiana, Carlo Maria Cipolla. Ma lasciamo la parola a Cafagna: « (…) Cipolla
quasi a bruciapelo mi disse che Cavour, da ministro, negli anni Cinquanta,
aveva sostanzialmente adottato in Piemonte una politica keynesiana avant la lettre. Lì per lì, mi parve un paradosso
anacronistico. Ma ripensandoci anni dopo, mi convinsi che l’intuizione di
Cipolla era sostanzialmente giusta. Cavour aveva in sostanza una corretta
percezione del rapporto tra ampliamento della domanda e stimolo alla crescita e
la sua politica economica era effettivamente regolata da questa idea. Anticipò
tra l’altro l’uso un po’ disinvolto del debito pubblico, del quale, nella
nostra storia finanziaria, si è poi spesso abusato » .
Cavour
keynesiano? L’intuizione di Cipolla, ripresa da Cafagna andrebbe esplorata.
Perciò, giovani laureati in cerca di gloria accademica, cosa aspettate ? Al
lavoro!
Tra
i contributi, tutti interessanti,
ricordiamo in particolare: Adriano Viarengo (La formazione intellettuale di Cavour), intervento ricco di
informazioni sui fermenti culturali nel Piemonte dell’epoca, recepiti anche dal Conte, come quelli di derivazione utilitarista: «
“Ti prego di avere massima cura, dei miei Gioia, Romagnosi e Bentham”, scriverà al fratello Gioacchino »; Massimo L.
Salvadori (Il liberalismo di Cavour),
dove si ribadisce la natura pragmatica del liberalismo del Conte: a metà
strada tra liberalismo francese (Guizot, in particolare) e liberismo
inglese; Giuseppe Galasso (Cavour e il
Mezzogiorno), puntuale ricostruzione delle luci e ombre che costellavano un
mito, all’epoca condiviso anche da Cavour: quello del Mezzogiorno, «paese
ricchissimo di risorse e doti naturali, che solo il malgoverno di secoli aveva
mortificato »; Ennio di Nolfo (Il Piemonte nel gioco delle potenze europee),
dove giustamente si evidenzia di nuovo, e
in particolare tra il 1847 e il
1861, l’esplicarsi in politica estera della natura concreta del liberalismo cavouriano. Scrive Di Nolfo: «Era
un uomo del “giusto mezzo”. Pensava ai fatti che avrebbero potuto dare sostanza
all’indipendenza nazionale, ma non si illudeva che questi potessero nascere dalla volontà di poche migliaia di patrioti.
Aveva fede nel progresso non come parola vuota ma come fatto concreto:
ferrovie, industrie, strade, liberi commerci. Aveva una visione ben precisa
dell’assetto europeo e sapeva che, senza
quei mutamenti radicali, che certo il Regno di Sardegna da solo non avrebbe potuto provocare, nulla
sarebbe mutato in Europa finché le potenze conservatrici fossero rimaste unite.
Era dunque pronto a cogliere le occasioni perché i suoi ideali di fondo si
realizzassero, non nella fantasia bensì realisticamente».
Perfetto.
Aggiungere altro, sarebbe un vero
peccato.
Carlo Gambescia
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