Il libro della settimana: Sergio
Fabbrini, Addomesticare il Principe. Perché i leader contano e come
addomesticarli, Marsilio 2011, pp. 206, euro 15,00.
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Tempi duri per i veri leader, quelli che un
tempo si chiamavano príncipi regnanti. Soprattutto perché la crescente
personalizzazione della politica, segnata da frenetici lanci televisivi e
sondaggi a tappeto, impone al politico di decidere in fretta. Cosa, come si
intuisce, non sempre facile, poiché se per un verso la decisione impone
rapidità, per l’altro il sistema politico democratico, implica procedure capaci
di rallentare l’azione decisionale.
A dire il vero, leader come Bush figlio e
Blair hanno mostrato di saper prendere decisioni importanti in tempi piuttosto
brevi. Decisioni, tuttavia, non sempre felici: si pensi alle invasioni dell’Afghanistan
e dell’Iraq. Stessi esiti non positivi, ma in scala più piccola, per Sarkozy e
Berlusconi, tuttora alle prese con problemi economici, sociali e, per il
Cavaliere, anche giudiziari. Perciò, almeno il linea teorica il leader,
soprattutto se già di suo poco amante delle regole, andrebbe addomesticato o
quantomeno ammansito… Ma come? Intanto, secondo Sergio Fabbrini, professore di
Scienza Politica, autore di un interessante studio in argomento (Addomesticare il Principe. Perché i leader contano
e come addomesticarli, Marsilio 2011, pp. 206, euro 15,00) chi
trova un vero leader trova un tesoro… Perché « la buona democrazia abbisogna di
leader (donne e non solo uomini) che “sappiano mettere le mani negli ingranaggi
della storia”, come diceva Max Weber (…), ma deve anche preoccuparsi che lo
facciano per migliorare e non per peggiorare » . Giusto.
Quanto ai controlli Fabbrini, che con occhio
solerte indaga la democrazia di qua e di là dell’Oceano Atlantico, pone
l’accento non tanto sugli aspetti procedurali quanto su quelli
socio-istituzionali. Secondo l’autore « i meccanismi del controllo non
risiedono solamente nel sistema di governo, ma anche nel sistema istituzionale
e sociale. Gli organi di garanzia e la magistratura sono importanti per
controllare l’esercizio del potere politico, così come il sistema dei media è
cruciale per garantire la trasparenza di quest’ultimo. Tuttavia anche questi
organi debbono essere sottoposti a controlli. In una democrazia liberale non vi
sono poteri per definizione virtuosi e altri per definizione viziosi. Tutti i
poteri sono portatori di interessi parziali, essendo l’interesse generale i
risultato dell’interazione sistemica tra di essi ». Ciò significa - cosa che ci
trova d’accordo - che vanno contrastati i conflitti di interessi, inclusi, come
nel caso italiano, quelli tra magistratura e politica e fra politica e
comunicazione. Qui però Fabbrini scende alla cattedra e sferra un violento
uppercut al mento del Cavaliere, proprio in merito all’ «interscambio» tra chi
controlla l’informazione e chi fa politica: «Quando si verifica questo
interscambio (come nell’Italia di Silvio Berlusconi) vengono alterate le
condizioni essenziali della competizione politica, oltre che gettate le basi di
una personalizzazione incontrollata. Se è vero che la politica è divenuta
sempre più comunicazione allora un’efficace legislazione del conflitto di
interessi dovrebbe impedire il controllo ( e non solo la proprietà) di risorse
comunicative o informative da parte di chi esercita il potere politico (…). E
dovrebbe impedirlo attraverso l’azione di agenzie regolative costituzionalmente
indipendenti dal potere politico. Se la democrazia elettorale richiede che i
concorrenti per il potere politico abbiano le stesse opportunità di acquisirlo
(temporaneamente), allora tale principio è svuotato di significato quando uno
dei concorrenti controlla il potere informativo che può decidere l’esito della
corsa» . Tuttavia, ci risulta che Berlusconi, nonostante le televisioni, due
elezioni politiche su cinque le abbia perse. Perciò, in ultima istanza, il vero
“addomesticatore” del leader resta il popolo sovrano. Che non sembra essere
così bue o, come si dice oggi, videodipendente. O no?
Carlo Gambescia
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