Divagazioni su un must dell’individualismo moderno (e postmoderno)
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Caro diario…
Un post (
o quasi) in argomento, letto in giro e tra l’altro ben scritto, oggi ci spinge
a riflettere, anzi a divagare, sul diario e dintorni. Perché si tiene un
diario? Si scrive per se stessi? Si scrive perché un giorno qualcuno leggerà?
Dipende. E da cosa? Dall' autorevolezza e dall' egocentrismo di chi vi si
cimenti, incrociando la spada con il proprio Io, come impone la gabbia
d’acciaio dei moderni, ancorché decorata di fiori di plastica.
Sotto quest’ultimo aspetto il diario rispecchia la parabola del moderno, con
un’ultima fermata, non a richiesta, dalle parti delle narcisistiche periferie
post-moderne popolate di blog e social network. Si potrebbe addirittura
tracciare un grafico, con due curve sovrapponibili, e in crescita: da un lato
l’ascesa dell’individualismo dall’altro il galoppante sviluppo della
diaristica, letteraria e non, oggi addirittura viva e palpitante sulla Rete,
punto di arrivo prediletto, tuttavia metastatico, di quel pervasivo narcisismo
che ci invita tutti a regnare solitari nei nostri piccoli orticelli.
Secondo Aron Gurevič, eccellente medievalista polacco, il diario medievale era
una cronaca storica di e per quei tempi: l’individuo restava sullo sfondo. A
meno che non si trattasse di santi, re, e papi, tutti in luminosa interazione
con i decreti di Dio.
È con l’età moderna, lungo una linea solipsistica, per alcuni discendente, da
Peyps a Gombrowciz, che il diario prende sicurezza autobiografica per
contrapporsi a storia e società; ma nel farlo, perde smalto si mondanizza e
intimizza. Ai decreti di Dio sostituisce quelli del caso o le necessità del
nulla.
In genere, oggi, non si scrive un diario solo per se stessi, ma, se si è
scrittori, perché si pregusta in silenzio il piacere che qualcuno leggerà… se
si è sconosciuti, perché non si sa mai… E, in tal senso, la post-modernissima
forma-diario-blog riunisce le due necessità, frutto amarognolo di un un
individualismo, che, per contrappasso, sembra perdere vigore e diluirsi in
facezie, proprio nel momento in cui si democratizza. Nulla di nuovo, almeno
secondo Tocqueville, profeta dimenticato.
Il diario, insomma, resta intimo nei propositi immediati, ma non nelle finalità
ultime. Ne coglie bene il senso profondo Oscar Wilde, maestro, s’intende, di
auto…ironia: “ Non viaggio mai senza il mio diario: bisogna sempre avere
qualcosa di sensazionale da leggere in treno” .
Ovviamente, anche il cinema se n’è impossessato. E in particolare del diario
come invenzione letteraria: un diario per interposta persona, frutto talvolta
di onanistiche ed egocentriche oppressioni letterarie. Tensioni interiori via
via convertite in pavloviani riflessi venali, lungo una strada periclitante che
va dal robusto Diario di un curato di
Campagna all’esile Diario di
Bridget Jones.
Come dire, dal problema del male al problema della dieta punti.
Carlo Gambescia
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