Il male:
una riflessione sociologica
una riflessione sociologica
Riflettevamo
ieri su questo passo dell’ ABC della fede (ESD), un opuscolo scritto dal
Cardinale Giacomo Biffi, gentilmente donatoci dal nostro parroco in visita alle
famiglie per la tradizionale benedizione pasquale.
«È stato detto che
dopo gli orrori di Auschwitz non è più possibile credere in Dio, il contrario è
vero: dopo Auschwitz non è più possibile non credere in Dio, diversamente tutto
nell’esistenza umana e nella storia sarebbe tragicamente inutile e quasi
beffardo.
La presenza del male
è un dato di fatto indipendentemente dalle nostre scelte ideologiche. Ma per
chi non crede è un assurdo assolutamente irrimediabile; per chi crede diventa
un “mistero”, cioè una realtà che, essendo più alta di noi, proprio per questo
ci può salvare dalle nostre contraddizioni » (p. 12).
Come studiosi di
sociologia riteniamo che il male giunga da lontano: esisteva prima di
Auschwitz e continua (e continuerà) a esistere dopo. Il male e il bene
sono effetto di quella socievolezza-insocievolezza (per dirla
con Kant) che costituisce la natura umana. Le istituzioni sociali e
culturali possono mitigare o accentuare gli aspetti positivi o negativi
racchiusi nella “costituzione umana”, ma non sopprimerli.
Come
cattolici, pensiamo che l’uomo possa scegliere il bene e orientare la
propria vita verso criteri di verità ultraterreni e quindi salvarsi, come
osserva il Cardinale Biffi, dalle “contraddizioni”. Ma la salvezza resta un
fatto personale e individuale (perché non tutti possono o vogliono scegliere il
bene). Inoltre, come provano storia e sociologia, non è facile prevedere
gli esiti delle azioni sociali, anche se intenzionalmente motivate, cosicché
dal bene può nascere il male e viceversa.
Pertanto, il male
non è assolutamente “un assurdo” sociologico. Ma non è neppure un “mistero”,
sempre dal punto di vista della natura sociale-insociale dell’uomo. Insomma, il
male può essere definito assurdo non solo dal non credente, come sostiene il
Cardinal Biffi, ma anche dal cattivo sociologo…
Si dirà che in
questo modo poniamo la “natura sociale” al posto della “natura divina” delle
cose. E che quindi rischiamo l’accusa di panteismo sociologico.
Giustissimo. Diciamo
però che la nostra è un’analisi di “primo livello”, o se si preferisce, terra
terra. Non escludiamo, insomma, che la spiegazione tutta terrena del
male, qui offerta, possa essere agganciata a una sociologia
del Soprannaturale o della Salvezza. Ma come? Probabilmente partendo dal
concetto di non assurdità del male. Sotto tale
aspetto, l’imperfettismo sociale (la socievole-insocievolezza),
teorizzato da pensatori cristiani e non (da Rosmini a Pareto), può essere una
buona base cognitiva di partenza.
E qui, per oggi, ci
fermiamo.
Carlo Gambescia
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