mercoledì 9 aprile 2025

Giorgia Meloni, canaglia politica

 


Il protezionismo è costoso e divisivo. Chi asserisce il contrario o è un imbecille o un bugiardo. O peggio ancora una canaglia politica.

Costoso. Giorgia Meloni, oltre a recarsi da Trump, sembra il 17 aprile, per implorare tariffe doganali più miti, già parla di stanziare sostanziosi aiuti, circa 25 miliardi, per le imprese (industria, artigianato, agricoltura). Come però? Sottraendo fondi (tra le pieghe del Pnrr) e mettendo in discussione il Patto di stabilità (cavallo di battaglia dei nazionalisti, pardon sovranisti) e il Green Deal (altro mantra propagandistico nazional-populista).

Divisivo. Il protezionismo genera sempre patti, spesso perversi, nel senso che penalizzano i più deboli politicamente, i meno rappresentati, che pagano per coloro che invece si spartiscono la torta. Insomma una vera e propria frattura sociale.

Le guerre doganali crispine e la folle autarchia mussoliniana impoverirono operai e contadini favorendo le grandi industrie del Nord e il latifondo al Sud: industriali e proprietari terrieri.

E ora si ricomincia con un patto sulle provvidenze, come si legge, per il Made in Italy. Probabilmente Giorgia Meloni, che non ha neppure l’attenuante ottocentesca del protezionismo come scudo per la rivoluzione industriale italiana, sa che da Trump, otterrà solo briciole, e di conseguenza, si appresta a far pagare il conto del protezionismo trumpiano, sperando di farla franca, all’Unione Europea.

Canaglia politica. La Meloni, già politicamente perfida di suo, ha fatto tesoro del “metodo” Trump: approfittare, senza alcuna remora, delle difficoltà altrui, in questo caso dell’Ue, alle prese con i dazi. E con quale scopo? Realizzare finalmente un vecchio sogno: la disgregazione europea. Azione indegna dal civile  punto di vista liberale ed europeista. Per l'appunto una canagliata politica.

Fedele alle buone “tradizioni” (si fa per dire) fasciste, si comporta da forte con i deboli (l’Ue) e da debole con i forti (gli Usa di Trump). Proprio come i guardaspalle repubblichini dei nazisti.

Tuttavia, dal momento che nessun pasto è gratis, una volta esauriti i fondi Ue (semplifichiamo), perché la guerra doganale non sarà di breve durata, chi pagherà? I consumatori italiani alle prese con una diminuzione del potere d’acquisto, causata per un verso dal rimbalzo sui prezzi mondiali  dei  dazi trumpiani, una vera e propria tassa, quindi inflazionistici per traslazione, e per l’altro, dall’inflazione causata dalle iniezioni cortisoniche di denaro pubblico drenando Pnrr e quant'altro.

E se invece l’imperatore di Washington riducesse a zero i dazi solo per l’Italia? Pagheremmo la differenza di trattamento con l’Europa, verso la quale esportiamo (più che negli Stati Uniti), anche perché non ci sarebbe consentito di tenere fiscalmente e finanziariamente i piedi in due staffe. Sarebbe guerra tariffaria tra l’ Ue e un’ Italia più simile al Portorico che a un paese europeo,  con l'aggravante di essere il  Cavallo di Troia del protezionismo americano.

Riprova che l’ economia reale, legata alle differenze di Pil, finisce sempre per vendicarsi. Non basta piantare la bandierina dell’Italia in cima e gonfiare il petto. Il mondo non è un’isola, tutti hanno bisogno di tutti.

Trump ha infranto il patto liberale che ha governato il mondo per ottant’anni. Di conseguenza l’unica risposta possibile, dal momento che il Pil italiano non è quello degli Stati Uniti, è di rinsaldare i legami con l’Europa, aspettando che la bufera passi.

Non di presentarsi a Washington in ordine sparso, come si propone Giorgia Meloni, dando il colpo di grazia all’Europa, da vera canaglia politica. Come il Mussolini della pugnalata alla Francia.

Carlo Gambescia

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