Ieri un amico al nostro sdegno per la deportazione dei migranti in Albania in campi di concentramento variamente denominati (*), all’insegna di un vigliacco, e molto italiano, “occhio non vede, cuore non duole”, ci ha fatto polemicamente notare – a noi che difendiamo Israele – che Gerusalemme si comporta così con i palestinesi, “imprigionati” nella striscia di Gaza.
Va subito detto che comparazioni del genere sono pericolose perché mettono sullo stesso piano, e polemicamente, situazioni storiche, culturali e geopolitiche profondamente diverse. Sulle quali già ci siano dilungati (**).
Per farla breve, i palestinesi di Gaza, sono fagocitati da una macchina terroristica (Hamas), che fabbrica solo violenza. Invece il migrante, per principio, non è un terrorista né un criminale. Qui la differenza fondamentale.
Ovviamente, sulla base delle concezioni ideologiche sposate, si può far risalire o meno le origini della violenza ai palestinesi o agli israeliani. Non è mai difficile trovare, come capita nei tribunali, il dettaglio legale a difesa degli uni o degli altri.
Però – attenzione – già la scelta di un’impostazione avvocatesca, apparentemente legale, implica una scelta di campo, perché mette sullo stesso piano il terrorismo palestinese con l’autodifesa di Israele: colpevoli e vittime. Cosa che non è assolutamente. Perché se lo stato di Israele non si difendesse sarebbe immediatamente cancellato dalla faccia della terra.
Insomma, dietro ogni petulante causidico si nasconde un Ponzio Pilato.
Per contro il migrante, già costretto a un viaggio rischioso a causa di severissime normative sull’ingresso, al suo “arrivo” in Italia, per così dire, viene deportato in Albania. Da una parte c’è il terrorismo di Hamas, dall’altra poveri innocenti che cercano solo una vita migliore.
Si noti però un dettaglio. Per giustificare la deportazione e la detenzione preventiva del migrante lo si dipinge come un individuo pericoloso, già colpevole (altro che presunzione di innocenza...), secondo una retorica dell’intransigenza verso le differenze di cultura e religione tipiche dell’estrema destra che ora governa l’Italia.
Cioè si crea a tavolino lo stereotipo del migrante-criminale, dal quale la società deve difendersi. A dire il vero esiste un doppio registro: 1) la pubblicistica organica alla destra accentua gli elementi di pericolosità del migrante e di riflesso la necessità di proteggere gli italiani; 2) la politica governativa presenta l’imprigionamento (in Italia o all’estero) come una misura per proteggere il migrante.
Una vera e propria manovra a tenaglia. Se non che, e qui l’argomentazione si fa paradossale, si sostiene, come per l’addomesticamento degli animali, che “la paura delle sbarre” farà desistere il migrante dal partire, liberandolo dalle grinfie degli scafisti.
In questo modo, rinchiudendo il migrante in Albania, si
impedisce che il migrante affoghi e, testuale, si "combatte la tratta". Certo, gli si salverebbe la vita... Dimenticando un piccolo particolare: che gli schiavi venivano prelevati con la violenza e tradotti sulle navi contro la loro volontà.
Aprire le frontiere, no? Un' accoglienza normale, no? Liberoscambio di uomini e beni, no? Ubi bene, ibi patria, no?
Il migrante dovrebbe invece addirittura ringraziare. Certo, perché Giorgia Meloni combatte la tratta. Poi pensa lei, a deportarli, i migranti, come un tempo gli schiavi sulle navi dei negrieri, in Albania. Ma si vergogni!
Per giunta, perché ora fa comodo, la destra si nasconde dietro il placet europeo: “ Siamo bravi. Lo dice anche Ursula von der Leyen”. Come se il parere positivo dell’Ue, fosse al di là del bene e del male, giustificando qualsiasi cosa.
Un’ ipocrisia totale. Ripugnante. Che, concettualmente e simbolicamente, ricorda la scritta “Il lavoro rende liberi”, posta all’ingresso dei campi di sterminio nazisti.
Certo, si sfiancava l’odiato ebreo fino a farlo morire in catene o nelle camere a gas. Lo si rendeva libero… Per l’eternità. Sotto questo aspetto che c’entrano i figli di Israele con i nipotini di Mussolini, alleato di Hitler, che oggi governano l’Italia?
Concludendo, gli Hotspot in Albania rendono liberi. Così sostiene Giorgia Meloni.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=israele .
(**) Si legga qui: “Le strutture principali sono tre. La prima è un hotspot, ossia un centro per lo sbarco e l’identificazione dei migranti. Si trova a Shengjin, una città di mare circa un’ora di macchina a nord della capitale Tirana. […] Gjader, una frazione del comune di Lezhë nell’entroterra rurale del paese, dove sono stati costruiti un centro di prima accoglienza per i migranti che chiederanno asilo, da 880 posti, e un Centro di permanenza e rimpatrio (CPR) da 144 posti. C’è anche un carcere, organizzato per ospitare un massimo di 20 detenuti” (https://www.ilpost.it/2024/10/11/centri-migranti-albania-pronti/ ).
Nessun commento:
Posta un commento