La notizia buona è che Alessandro Barbero ha scoperto la burocrazia universitaria (*) . Ora che va in pensione. Bah…
Quella cattiva, che d’ora in poi, godendo di tempo libero, sarà ancora più invasivo come divulgatore storico. Se il pensionato standard si accontenta di osservare i lavori stradali, il pensionato fuori misura diciamo, si dedicherà, alla storia dei lavori stradali narrata al popolo. Insomma siamo fritti.
Oltre al vederlo piroettare su YouTube, di Barbero, abbiamo letto un romanzo, Bella vita e guerre altrui di Mr. Pyle, gentiluomo, così così (una mezza salgarata), e teniamo, a distanza di sicurezza, sullo scaffale, il Dizionario del Medioevo , scritto con Chiara Frugoni, un lavoro mediocre, semplice per gli studiosi, semplicistico per i non addetti.
Si dirà, pochino per giudicare… Diciamo che abbiamo un certo fiuto. Inoltre il lettore penserà: Gambescia è invidioso, lui i libri li vende con il contagocce, Barbero a palate.
Non è così. Se Barbero ha questa capacità di farsi capire dal popolo, siamo contenti per lui. Però si fa capire troppo. La sua “missione”, proprio perché divulgativa, nel senso dell’accessibilità a tutti, rischia di vendere e trasmettere illusioni. In particolare quelle che la storia non abbia segreti e, cosa peggiore, che sia sempre uguale a se stessa.
Il problema non è il mezzo ma il fine. Per capirsi: il problema non è Barbero, ma il concetto Barbero. Detto altrimenti il concetto di divulgazione. Di una certa divulgazione. E spieghiamo perché.
Il sapere divulgativo è un non sapere. Perché il sapere è difficile, e non è per tutti: servono doti intellettuali, volontà di applicarsi, e soprattutto la consapevolezza che le cose sono difficili da capire e che non ci sarà mai una risposta a tutto.
In linea di massima, la divulgazione è l’esatto contrario della scienza: semplifica. Cosa che vale per il divulgatore, per il divulgato e per il fruitore di divulgazione. La semplificazione, anche se ben fatta, è tale: facilita. Penalizzando lo sviluppo, quando ci sono, delle facoltà intellettuali, il duro lavoro applicativo e soprattutto il senso di complessità delle cose.
Perché la realtà, a partire da quella storica, è complessa. Qui il punto fondamentale. La divulgazione è una forma di populismo cognitivo: fornisce riposte semplici a problemi complessi. E in qualche misura Barbero, volente o nolente, è il Salvini della situazione.
Alziamo il tiro cognitivo. Alla base del sapere divulgativo storico c’è l’analogia, cioè la relazione di somiglianza tra alcuni elementi costitutivi dei fatti storici, in misura tale da favorire la deduzione mentale elementare di un certo grado di somiglianza tra due fatti anche storicamente lontani tra loro.
Per capirsi, l’analogia buona (che del resto è una normale tecnica cognitiva) è quella che fa capire, in termini di regolarità metapolitiche, che alcuni processi si ripetono (conflitto e cooperazione, ad esempio), ma con contenuti diversi. Per contro l’analogia cattiva, insiste sulla ripetizione dei processi e dei contenuti. Di qui Cesare uguale Napoleone, Augusto uguale De Gaulle, Cola di Rienzo uguale Mussolini, Luigi XIV uguale Hitler, Ivan il terribile uguale Stalin.
Ora, la retorica di un Barbero è più ricca, però nel fruitore della divulgazione, che non è un altro storico come Barbero, la cattiva analogia viene immediatamente promossa a verità storica e sociologica.
Pertanto la divulgazione fa più male che bene. Non sempre però. Ad esempio il lavoro di Mieli sui Rai Storia è eccellente: storici in studio, lessico mai banalizzato e soprattutto bibliografie, minime ma bibliografie.
Il distacco, tra la storia seria è la divulgazione è proprio nella bibliografia. Diciamo nel concetto di bibliografia. Che serve per capire come su un determinato argomento la storiografia (che poi è il mondo degli addetti ai lavori), non abbia mai in serbo risposte semplici e univoche. La bibliografia, se non si è dotati di anima scientifica a prima vista appare come un ponte tibetano sospeso sull’abisso. Può sgomentare. Ma non coloro che non si accontentano di risposte semplicistiche. In una parola: populiste, cognitivamente populiste.
È vero che Barbero talvolta indica cose da leggere, eccetera, però il suo punto di partenza è sempre la risposta semplice. Il che non incuriosisce e non aiuta l’approfondimento.
Si dirà, ma allora Piero Angela, il re, e giustamente, dei divulgatori scientifici? Angela è sempre stato un divulgatore, sui generis, una specie di Mieli in ambito scientifico. Si leggano le sue innumerevoli interviste. Ha sempre dichiarato che le cose sono complesse e che non esistono risposte semplici. Angela non lo si può definire un populista cognitivo. Magari gli si può rimproverare qualche piccolo cedimento, ma solo ogni tanto.
Insomma la divulgazione sta alla società di massa come il sapere scientifico alla società di élite. La vera divulgazione è quella che mette in collegamento le due società, mantenendo ferme distanze e differenze.
Come? Mettendo il lettore davanti al ponte tibetano della bibliografia. Cosa che chi scrive scoprì all’università (allora la pseudocultura delle slide fortunatamente non esisteva). La bibliografia, come il dio manzoniano, affanna e consola. E soprattutto ripetiamo ci mette davanti alla complessità del sapere storico. E di ogni altra forma di sapere.
Bisogna sempre accostarsi con rispetto. Guai ai facili giudizi. Quelli purtroppo toccano ai politici. Ma questa è un’altra storia.
Concludendo, abbiamo citato, di Barbero, il Dizionario del Medioevo. Contiene ricche illustrazioni, non poche per una pubblicazione economica, ma neppure una linea di bibliografia…
Carlo Gambescia
(*) I non abbonati a “La Stampa” leggano qui: https://www.rainews.it/tgr/piemonte/articoli/2024/10/e-alessandro-barbero-va-in-pensione-addio-universita-del-piemonte-orientale-6246fba4-8e86-4ba2-89ff-266c3977f6c3.html
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