Oggi lo storico Giovanni Orsina su “La Stampa”, da sempre “aperturista” verso la possibile civilizzazione dei barbari populisti, spezza l’ennesima lancia in favore di Giorgia Meloni. A suo avviso una guida politica perfettamente capace di coniugare, un poco come al tempo del Pci di Berlinguer, lotta e governo. O se si preferisce protesta (nelle piazze) e gestione (delle istituzioni).
L’aspetto più debole di questo realismo a breve termine ( a quo), simile al quello che animò Moro, teorico delle aperture a sinistra, resta la pretesa di essere invece a lungo termine (ad quem) (*). Si scambia il futuro con il presente. Il domani con l'oggi. Si pensi a un Churchill remissivo che avesse accettato nel 1940 le offerte di pace di Hitler, pensando al presente della Gran Bretagna, al momento sconfitta, e non, come fortunatamnete andarono le cose, al terribile futuro di un mondo dominato dal fascismo.
Succede questo: si inquadra un problema come storico, ieri il comunismo oggi il populismo, all’interno di un’ottica della normalizzazione, come dicevamo dell’incivilimento dei barbari (che per inciso richiese secoli e secoli e distruzioni su distruzioni). Insomma, si crede di poter rendere normale, come nel caso dei populismi, ciò che non normale non è.
Pertanto l'argomentazione di Orsina è erronea. Si descrive la protesta del populismo contro le élite come un fatto che avrebbe giustificazione
storica nel cattivo comportamento delle élite politiche italiane ed
europee. Orsina trasforma qualcosa di contingente in qualcosa
di storico. Attribuisce erroneamente ragioni storiche al populismo, non vedendo
dietro di esso i pericoli, questi sì realmente storici, di un fascismo di ritorno, dal momento che il
populismo era ed è una componente culturale del fascismo.
Il che, a nostro avviso, non significa che le élite al comando siano esenti da colpe, ma, ecco il punto, Orsina, favorendo la tesi dell’addomesticamento dei barbari, sottovaluta la componente fascista dei populismi. Non si tratta di assolvere, ma di non ignorare, come già accaduto con Moro, la componente antiliberale – questa sì, ripetiamo, storica e antisistemica – , del comunismo (allora) e del fascismo (oggi). E di conseguenza le potenzialità eversive di Giorgia Meloni, nuovo Berlinguer, anche se di segno opposto.
Siamo davanti a un realismo a breve termine, antistorico, proprio perché non tiene conto della lezione della storia sulla pericolosità del populismo fascista.
E che un storico, come Orsina commetta un errore del genere, è segno della grave crisi di identità – identità liberale – che intorpidisce storici e analisti, ben più grave della stessa crisi delle élite politiche.
Esageriamo? La parola al lettore.
Carlo Gambescia
(*) Sulle differenze tra le diverse forme di realismo politico, rinviamo al nostro Il Grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio 2019.
Nessun commento:
Posta un commento